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Per un teatro le cui sorti preoccupano, un teatro che ri-nasce nella Sanità e fa ben sperare: Giulio Baffi commenta la settimana appena trascorsa tra applausi e pollici versi.

franca-valeriQualcosa non funziona in teatro se il pubblico sembra entusiasta in spettacoli come quelli che ho visto in settimana. Mi sembra di vivere un preoccupante momento di cannibalismo teatrale, di antropofagia in cui si confonde più che mai il rapporto attore-spettatore. Cerco di spiegarmi. Al Mercadante va in scena tra gli applausi entusiasti del pubblico lo spettacolo che ha per protagonista Franca Valeri, costretta ormai su una sedia a rotelle e con evidentissimi segni della sua difficoltà a pronunciare le parole della commedia. L’abbiamo amata per tutto quello che ha fatto. L’amiamo perché esiste ed ama il teatro tanto da non riuscire a staccarsene. Ma questo spettacolo è bruttissimo, regia inesistente, attori che non sanno cosa fare e cosa dire, e non riescono a comunicarci il come e il perché ciondolano sul palcoscenico senza un motivo, tempi lentissimi imposti dai tempi dilatati della malattia che costringe la grande attrice allo sforzo della parola che s’impiccia e si stropiccia…

Eppure gli applausi non erano soltanto testimonianza d’affetto per Franca Valeri. Il pubblico sembrava contento. Di cosa? E sembravano contenti gli spettatori allo spettacolo di Emanuele Salce al Ridotto del Mercadante. Impudico spettacolo, racconto malandato e sciatto di una “verità familiare” incapace di coinvolgermi. Racconto di due funerali, quello del padre Luciano Salce e quello del “secondo padre” cioè di Vittorio Gassman, marito della madre dell’autore-attore. Nessuna emozione, nessun segno d’amore, nessuna invenzione che rendesse teatralmente accettabile questo racconto condito d’aneddotica minimalista. Ricordi di famiglia e ricordi di teatro magari a qualcuno potranno piacere, mi sono detto. Ma il terzo momento dello spettacolo scavalca il sopportabile nel racconto di giornate di stitichezza patita durante un viaggio e della successiva diarrea causata da un eccesso di lassativi. Cosa lega i tre momenti di questo spettacolo non saprei dirlo. Ma il pubblico antropofago applaude contento, divora i poveri ricordi messi malamente insieme  e se ne va illudendosi di avere rubato un poco d’intimità a basso costo. Se questo è il prodotto che gli spettatori gradiscono davvero c’è da preoccuparsi per le sorti del teatro a venire. Ma magari mi sbaglio. Speriamo. Ma questa settimana a teatro non è stata fortunata.

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GelardiL’invito mi è arrivato via mail: venite a visitare il “Nuovo Teatro Sanità” che Mario Gelardi guiderà nei prossimi mesi. l teatro si chiama ancora “Sott ‘o ponte”, si trova a piazzetta San Vincenzo nel cuore della Sanità, e per arrivarci basta imboccare la strada di fronte “all’ascensore”, la prima a destra dopo il ponte. Ma se si imboccano i pochi gradini della rampa che scende da Corso Amedeo di Savoia, te lo trovi di fronte appena girato l’angolo. Dentro è una sorpresa, perfetto e accogliente. Con un centinaio di poltrone di velluto rosso ed un piccolo palcoscenico attrezzato. Salvatore, un giovane gigante dal sorriso gentile mi accoglie e si offre di accompagnarmi a vedere gli spazi. Una sala per le prove, una sala per studiare i movimenti, uno spazio per riunioni, servizi igienici con tanto di docce. «Tutto fatto senza “contributi pubblici”, con il nostro lavoro ed il nostro entusiasmo»« mi dice sorridendo orgoglioso Salvatore. Ed è un piacere vedere quel piccolo teatro nato in silenzio per l’entusiasmo di pochi. «C’è bisogno di una scala teatrale e di un classico fondale nero alto 8 metri e largo 7 metri» dicono e spero davvero che li si aiuti a completare il loro lavoro. Che farà Mario Gelardi per far vivere questo teatro? Aprirlo al quartiere, chiedere agli amici teatranti di portare qui loro spettacoli, poi si vedrà. Ci sono in tanti a salutare e a guardare, curiosi ed entusiasti. Vale la pena provare. Bisogna riuscire. Faccio i miei auguri a Mario Gelardi e ringrazio il mio accompagnatore. Mi chiedo, un poco mortificato, perché mai non conoscevo questo spazio e chiedo scusa. Loro sorridono gentili. Ci ritornerò presto, spero, a vedere spettacoli belli, messi in scena da giovani attori di questa città, registi di talento, autori intelligenti che altrove non trovano spazio. Anche queste “scoperte” fanno bello il mio lavoro e mi restituiscono la fiducia appannata.

Giulio Baffi

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