Progetto Aldo Morto 54
Dopo 54 giorni, si conclude l’esperimento di Daniele Timpano autoimprigionatosi al Teatro dell’Orologio di Roma per ricordare il politico italiano assassinato. Ecco cosa ci racconta.
Dopo aver vinto il Premio Rete Critica ed esser arrivato in finale al Premio Ubu come migliore novità italiana con lo spettacolo Aldo Morto, Daniele Timpano continua il suo percorso artistico con il Progetto Aldo Morto 54, un’inusuale e originale rievocazione del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. Il progetto, prodotto dal Teatro dell’Orologio di Roma in collaborazione con la fondazione Romaeuropa, è definito come un “evento totale”. Daniele Timpano, infatti, è rimasto recluso per 54 giorni, dal 16 marzo all’8 maggio, in una cella costruita in una sala del Teatro dell’Orologio dalla quale è uscito ieri in tarda serata per la messa in scena finale dello spettacolo, unico momento esente dalla diretta con cui è stato possibile “spiare” la sua prigionia, grazie ad un live streaming, un canale Youtube dedicato e un sito ufficiale (www.aldomorto54.it).
La giornata del “prigioniero” includeva letture de I Quaderni dal carcere di Gramsci, Le avventure di Pinocchio e i comunicati delle Brigate Rosse. Inoltre, Facebook e Twitter hanno dato all’attore la possibilità di interagire con il mondo esterno per uno scambio di idee, memorie ed esperienze. La giornata in cella era scandita da incontri, riprese e letture da cui prende vita anche il Progetto Amnesia attraverso il quale Daniele Timpano ha incontrato persone volontarie disposte a raccontare la propria testimonianza su questi anni.
Ogni lunedì era dedicato al cinema con un seminario curato dal prof. Flavio De Bernardinis sul cinema degli anni Settanta, il sabato invece era riservato alla musica e la domenica vi erano incontri di approfondimento, sulla letteratura, sul teatro e sulla saggistica.
Oggi, 9 maggio, in occasione del Moro Day , presso la sede della Fondazione Romaeuropa, nell’Opificio Telecom Italia, sarà dedicata una riflessione sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro; momento storico vissuto con grande apprensione da tutti gli Italiani.
In occasione di questa giornata abbiamo intervistato Daniele Timpano, autore e attore dello spettacolo.
Ti definisci “prigioniero politico del teatro”. Puoi spiegare l’affermazione?
La riposta è complessa. Sicuramente è un riferimento al teatro stesso, nel senso che oggi in questo Paese il teatro è un prigioniero politico, di conseguenza un autore, attore e regista, all’età di 40 anni, diventa prigioniero del proprio mestiere. Il teatro è stato infatti rinchiuso nel carcere più piccolo e marginale della cultura.
Come hai iniziato a fare teatro e come nasce la tua esigenza di fare teatro?
Ho scelto il teatro come forma di espressione artistica perché rispetto ad altre forme è più semplice, diretta ed economicamente meno costosa da realizzare. Col tempo poi, è diventata una scelta di vita perché è una forma concreta di arte che nello stesso tempo diventa una motivo di incontro per chi fa lo spettacolo e per chi lo guarda. L’attore quando è in scena è portatore di un pensiero, di una riflessione intellettuale e coinvolge una comunità di cittadini.
Com’è nata l’idea di questo progetto?
Il nostro Paese si trova in un momento di passaggio storico, verso dove non si sa, per una serie di eventi iniziati proprio negli anni Settanta in cui almeno si parlava di “compromesso storico” tra partiti che avevano un’identità mentre adesso si parla di “larghe intese” tra partiti che non esistono.
Lo spettacolo nasce dall’idea di realizzare un progetto ambizioso e folle ripercorrendo in maniera simbolica i cinquantaquattro giorni del sequestro Moro. È un’esperienza fisica e corporale in una cella 3 X 1, dove non c’era un attore che fingeva di essere Moro ma, un attore e regista che ripercorre l’esperienza drammatica nel modo più vero possibile.
Qual è stato l’impatto che hai riscontrato sul pubblico in merito a quest’esperienza?
Sicuramente il contatto più diretto l’ho avuto durante gli spettacoli serali che io amo definire un rituale pubblico. Lo spettacolo aveva tanti scopi e ambizioni e una di queste era quella di investire sulo spettatore. C’è stato un continuo riscontro, non solo da parte dei romani ma anche da persone provenienti da tutta Italia; sempre crescente che, soprattutto nelle ultime serate, ha registrato il sold out: all’ultima replica hanno aggiunto persino delle sedie e molti ha visto lo spettacolo in piedi.
Un lavoro difficile riuscire ad avere pubblico in sala per cinquantaquattro giorni in un periodo in cui gli spettacoli, nei piccoli spazi, rimangono in scena solo per un periodo molto limitato (dai due ai quattro giorni), a differenza dei grandi teatri in cui gli spettacoli in cartellone vengono riproposti anche per due settimane di fila.
Inoltre, durante la mia auto-reclusione, ho avuto l’occasione di ospitare in cella persone che hanno portato la propria testimonianza sugli anni Settanta realizzando così uno scambio reciproco di sensazioni, idee e opinioni.
Il web e la diretta streaming sono stati sicuramente strumenti importanti e, a mio parere, il tentativo di auto-reclusione in cella ha evidenziato la situazione dell’uomo al giorno d’oggi che passa il suo tempo chiuso in casa davanti al pc e il suo rapporto con il mondo esterno è filtrato dai social network. La mia diretta streaming in realtà è stata una sorta di specchio in cui le persone potevano rivedere loro stesse.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai previsto di ritornare a Napoli?
Sicuramente penso di ritornare di nuovo a Napoli perché mi sono trovato bene. L’anno scorso, per una scelta etica, tenuto il mio spettacolo Sancarluccio, proprio per sostenere uno spazio con problemi economici e a rischio chiusura, piuttosto che andare in altri teatri che, pur avendo maggiori risorse, mi avrebbero dato lo stesso compenso.
Per quanto riguarda i nuovi progetti sto lavorando con Elvira Frosini, mia moglie, con la quale ho collaborato anche per Aldo Morto 54, ad un nuovo lavoro che avrà come tema la morte della società odierna. Purtroppo oggi l’Italia è un Paese di morti, viviamo tutti in una situazione di “zombitudine”.
Giulia Esposito, Gabriella Galbiati, Carmela Pugliese