Un dramma realistico
La maledizione di Rigoletto torna al San Carlo dopo 8 anni, per la regia di Arnaud Bernard. Si replica fino al 26 maggio.
Tanti sono gli anni passati dall’ultima edizione del Rigoletto, datata maggio ’05, sempre al San Carlo.
E in un maggio, che sembra novembre, ritorna il melodramma di Giuseppe Verdi con la regia di Arnaud Bernard e la direzione di Pier Giorgio Morandi, in replica fino al 26 maggio.
La trama dell’opera è ormai nota: Rigoletto è il deforme buffone della corte del Duca di Mantova, un libertino, sempre in cerca di nuove conquiste. Tra queste la moglie del Conte di Monterone che, per vendicarsi dei continui sberleffi, lancia una maledizione su Rigoletto. Alcuni nobili della corte del Duca decidono, per ripicca, di rapire Gilda, quella che credono essere l’amante del buffone, ignorando invece che sia la figlia. La portano alla corte, dove il Duca che la seduce. Rigoletto decide quindi di vendicarsi e di farlo ammazzare. Purtroppo Gilda perdutamente innamorata del Duca, decide di sacrificarsi al suo posto. La maledizione del Conte è, purtroppo per Rigoletto, compiuta.
Ricorrente, in questi tre atti di Verdi, è il tema della vendetta che si compie inevitabilmente, fatta eccezione per Rigoletto che è lo sconfitto della storia, colui che paga, con la vita della figlia, crimini non suoi. È infatti il Duca di Mantova a muovere i fili di ogni vicenda senza pagarne lo scotto: una visione quanto mai realistica della vita. Ed è proprio il verismo della vicenda che permette allo spettatore di farsi coinvolgere a pieno nella drammaticità della vicenda, che trova il suo apice nell’ingresso del buffone, al II° atto, con l’aria “Povero Rigoletto”. Ma che Rigoletto sia alla mercè di tutti si nota già nella trovata registica iniziale, quando sulla sinfonia introduttiva il Duca di Mantova studia l’anatomia di Rigoletto, gli misura la gobba, schernisce quasi la sua deformità confrontandola con i “perfetti” manichini a sua disposizione.
In questo si può senza dubbio individuare la volontà di Bernard di sfruttare il difetto di Rigoletto come rappresentazione sia dell’inferiorità che del disprezzo del mondo nei confronti del buffone, capro espiatorio di ogni vicenda. Rigoletto per alcuni aspetti sembra anticipare di una ventina d’anni il “concetto dell’ostrica” tipico della poetica di Verga: egli è l’uomo comune, che nonostante non ne abbia la possibilità o forse la forza, aspira ad un posto di rilievo nel mondo, finendo poi per restare schiacciato dalle conseguenze del suo agire. Non dimentichiamo, infatti, che questo è stato un punto su cui lo stesso Verdi ha combattuto in sede di censura, insistendo che Rigoletto conservasse la sua deformità.
E in effetti, l’unico punto in cui il dramma un po’ cede è nell’unico compromesso di censura che lo ha danneggiato: le invocazioni, al II° atto, del Duca all’amore che poco aderiscono al carattere libertino del personaggio.
La scenografia è quanto mai sontuosa è funge ottimamente da cornice per le più che buone prestazioni degli interpreti, su tutti un eccellente Carlos Almaguer nei panni di Rigoletto che riesce a far emergere a pieno, grazie anche ad una potente espressione canora, tutta l’intensa drammaticità del personaggio. Nei panni del Duca di Mantova, Ivan Magrì ha sostituito il tenore Davide Giusti per improvvisa indisposizione. Il ruolo di Gilda è invece stato ricoperto dal soprano Desirée Rancatore.
Grazie alla bravura degli interpreti, la maledizione che colpisce in scena Rigoletto, quindi, appare vissuta e reale, al punto che, all’uscita, gli spettatori si saranno sicuramente posti il dubbio che avesse colpito anche loro, guardando attoniti un diluvio fuori stagione.
Gennaro Monforte
Teatro di San Carlo
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