Primavera dei Teatri
Di ritorno da Castrovillari: diario di giorni di teatro a cura di Giulio Baffi.
Cinque giorni di festival, tredici spettacoli e tanti incontri, conversazioni, piatti di imperdibili pietanze, allegria e occasioni per conoscere e conoscersi. I più vecchi con i più giovani. Scambio di saperi e nuove idee. A “Primavera dei teatri” lo spazio si dilata e le ansie di un tempo difficile si rispecchiano in spettacoli rapidi che a volte colpiscono al cuore. Non tutti. Non per tutti. Non a tutti. E va bene così. Gli spettacoli che nascono a Castrovillari a volte sono ancora imperfetti. Poi si rimane a parlare e discutere, per capire il perché, il se, il ma, il si, il no. Un Festival è anche questo. Qui il rischio è dietro l’angolo e al sorriso non si rinuncia. Merito di Saverio La Ruina, di Dario De Luca, di Settimio Pisano, e di un piccolo esercito entusiasta e gentile che li accompagna, cancellando i problemi degli ospiti e rendendo veniali i peccati degli attori. Tempo atmosferico scortese che costringe qualche spostamento agli spettacoli previsti all’aperto che ne soffrono. Pazienza.
Non ho visto tutti gli spettacoli. Ne ho visti otto e ne avrei visto uno in più, ma la Lenuccia, una partigiana del Sud di Angelo Mallardo non è andato in scena perché Luigi Credendino ha qualche problema di salute ed il giovane gruppo entusiasta ed intelligente che ha costruito questo spettacolo bello ha dovuto rinunciare a venire. Gli mando i miei auguri e lo aspetto su altri palcoscenici appena guarito.
Così dirò di In fondo agli occhi che Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari hanno costruito con la regia di Cesar Brie in acide ironie ed autoironie, giocando sulla condizione di chi, cieco, racconta quel che vede, o almeno ascolta attentamente, e riporta e deforma per costruire una drammaturgia impudica, un racconto impertinente segnato da quell’eroismo della letizia che si porta dietro in palcoscenico. Scherzando, preoccupato, su un’Italia trasformata in imbizzarrito e impudente bazar. Berardi è cieco davvero, ma ha il guizzo rapido di chi domina spazio e tempo, gesto e parole, e con la Casolari gioca veloce e si è preso gli applausi degli spettatori che affollavano il Teatro Sibaris, a volte increduli, e a volte divertiti come per lo splendido gioco del “cocomero” che rende gravida la sua compagna. E chi vedrà lo spettacolo in giro per i palcoscenici italiani apprezzerà, credo.
Dirò dei percorsi bizzarri costruiti dai quattro attori di Shitz, pane amore e… salame di Idiot Savant, compagnia milanese-siciliana in rapido susseguirsi d’invenzioni impertinenti, grotteschi sussulti, acidi commenti, per una rappresentazione di paradossali scontri domestici e pranzi familiari, da Hanock Levin, messo in scena per la regia di Filippo Renda. E gioco di polveroso ansimare e farsi dispetti mascherando le indispettite attese di una sistemazione sentimentalmaritale come per un contratto d’impari trattative. Loro, i protagonisti Mauro Lamantia, Matthieu Pastore, Mattia Sartori, Simone Tangolo ed una strepitosa Valentina Picello vanno veloci e divertono, ma qualche ripensamento nella sovraccarica rincorsa farà certo bene al percorso a venire dello spettacolo.
Dirò ancora del complesso percorso che Mario Perrotta per il Teatro dell’argine compie nel suo Un bès. Antonio Ligabue, bel racconto pieno di emozione, per dire di un dolore infinito e un desiderio inesausto d’amore e tenerezza. E forse troppo evidente sovrapposizione, o identificazione dell’attore con il pittore che per tutta la vita chiede un bacio e non lo riceve. Primo movimento di un più lungo percorso a venire in tre spettacoli, gioca con memorie vere e lontane. Ma Perrotta è bravo e ci crede in quel suo pittore ostinato, solitario e triste, come per un regalo d’attore che quasi ci convince.
Ancora proverò a dirvi del Mangiare e bere, letame e morte di Davide Iodice, con Alessandra Fabbri danzatrice imperfetta che ferisce il cuore e racconta col corpo e con la voce storie che sembrano inventate e sono vere. Di animali che dicono più che uomini, di una campagna che sembra un eden ferito, di una donna che cerca e forse nemmeno riesce a trovare il suo perché di attrice in un teatro “altro” e certamente “appassionato”.
Qualcuno vedrà nei prossimi mesi La società, di Lino Musella e Paolo Mazzarelli, in scena con Fabio Monti e Laura Graziosi. Racconto di incontri e rancorosi ritrovamenti, memorie che si preferirebbe non avere e giornate provate dalla vita. Intreccio con sorprese, brividi appassionati d’amicizia tradita e qualche risata che fa sempre bene. Con attori bravi e giustamente applauditi in solida (ed eccezionale per questo festival) drammaturgia ortodossa.
Rimane da dare conto de Lo splendore dei supplizi, di Licia Lanera e Riccardo Spagnuolo, che Fibre parallele presenta in “anteprima”, ricevendo applausi e sorrisi per questa loro nuova impresa graffiante. Quattro ministorie, o quadri, su tormenti e tormentati del nostro tempo. Due davvero molto belle, ironiche e disperate. Tentativo di fotografare un poco delle nostre giornate, con frustrazioni e passioni non sempre decenti, affidando agli attori il senso tragicomico di una loro disperata verità, ma deformandone il volto, il gesto e gli umori.
Teatro di tendenza, corpo, parole, emozioni rimescolate per un probabile linguaggio del presente. Quanto è in crisi il teatro? A “Primavera dei teatri” ci si illude, per qualche giorno, che non ci sia poi davvero una crisi.
Giulio Baffi