Arte e bellezza, un dialogo a passo di danza
Dopo i successi dei precedenti lavori ospitati dal NTFI, Ismael Ivo presenta “Mishima – The garden of forbidden dreams”.
La bellezza è qualcosa che brucia le mani quando la tocchi
(Yukio Mishima)
Una distesa di riso a ricoprire il palcoscenico, la luce calda e mutevole del tramonto a fare da sfondo: è nella splendida cornice dell’arena del Museo ferroviario di Pietrarsa che ha debuttato in prima mondiale l’istallazione coreografica del brasiliano Ismael Ivo, dedicata alla figura del poeta e scrittore Yukio Mishima, da cui lo spettacolo trae il nome.
Realizzato con la Compagnia Arabesque/Les Danseurs Napolitains (composta da Gabriel Beddoes, Francesco Saverio Cavaliere, Roberta De Rosa, Martina Fasano, Giacomo Luci, Giuseppe Paolicelli, Stefano Roveda, Marianna Russo, Valentina Schisa, Elisabetta Violante), in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, il progetto è frutto di una residenza artistica tenutasi a Caserta e vede come danzatore ospite e protagonista il vietnamita Khải Ngọc Vũ.
Immaginata come «uno studio concettuale sul corpo – spiega il coerografo – la pièce guarda al movimento con l’obiettivo di rinnovare le percezioni» in un crescendo ed alternarsi di quadri dalle movenze ora meditative, ora esplosive, con le musiche di Arvo Pärt e dei Kodò, passando per Wagner (eseguito dal vivo da Angela Luglio, voce e Federica Severini, violino) a dettare il ritmo dei passi e accompagnare lo spettatore in quello che si rivela una esperienza che coinvolge i sensi della vista e dell’udito ma anche dell’olfatto grazie al profumo di riso che si sprigiona ad ogni gesto dei danzatori.
Indagare sulla bellezza chiedendosi cosa sia e quale sia la sua funzione in rapporto all’arte è ciò che il coreografo si propone, ed è sviluppando immagini «al fine di creare una nuova estetica» che lo fa, ispirandosi all’agire ossessivo di Mishima, al suo universo creativo, per dar vita ad una serie di ripetizioni in cui far muovere i suoi danzatori e che egli stesso così spiega: «Corrono, si fermano e cadono. Si rialzano ogni volta, ripetendo i movimenti all’infinito. Mentre si alzano ricreano vita e aggiungono altri movimenti alla sequenza originaria».
Dunque, in forma rituale si sviluppa l’intera istallazione, con immagini che si compongono in sequenza e che vedono in scena i ballerini in composizione sempre diversa, e forti appaiono i richiami alla tradizione giapponese: dagli abiti, al bianco che colora i volti, al legno degli arredi di scena, al riso che – copioso nel formare il giardino al cui interno i danzatori si muovono, costituisce un suggestivo elemento coreografico.
Perfetto è il modo in cui i corpi flessuosi e candidi dei protagonisti si amalgamano alla scena naturale e al passaggio graduale dalla luce al buio, e di forza e leggerezza insieme è ciò di cui si caratterizza ogni loro spostamento, enfatizzato, in più occasioni, dal suono profondo del respiro, e costruito valorizzando l’aspetto simmetrico e la linearità di ciascuna azione per un effetto di estrema nitidezza.
Il finale, aperto, è affidato alla poesia musicata da Wagner, Traume, e lascia a ciascuno la chiave di lettura con il quale interpretarlo: solo un sentiero si delinea a tracciare la direzione ma a cosa conduca si è chiamati singolarmente a scoprirlo.
Ileana Bonadies
