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Lontano da Napoli, Claudio Ascoli continua con entusiasmo il suo teatro “in movimento”. Giulio Baffi ha festeggiato con lui i 40 anni di attività e ce li racconta.

 

pag8_2Giovedì 10 ottobre Claudio Ascoli “festeggia” i 40 anni di “Chille de la Balanza”!
La notizia mi incuriosisce. Un amico che di teatro ha memoria mi dice: «Nientemeno? Ancora esiste? Quarant’anni? E dove?»
«A Firenze – rispondo – lavora lì da molto tempo.»
Vado a San Salvi, l’antico manicomio dismesso dove Claudio Ascoli da anni ha messo radici. Al Teatro della Pergola, nel pomeriggio, ci si ritrova in tanti per un pomeriggio “di festa”, e per parlare della grande avventura iniziata in un ottobre del 1973 a Napoli, nello scantinato di Via Port’Alba di “Chille de la balanza”, la sede del Teatro Comunque.
Ne sono stato testimone e ritrovo tra le mie carte un “documento” di quei giorni tanto lontani:
“La nostra ricerca partirà dai fatti popolari. Esamineremo, da reperti di tradizione orale e non, la possibilità di comunicare qualcosa. Comunicare ciò che rientra per contenuti e forma, nella espressione popolare, e comunicarlo nella maniera più diretta, più immediata, nella forma spettacolare più libera, più spoglia. Ciò facendo proporremo un livello di spettacolo che analizzi la lingua, piuttosto che il linguaggio, che, come prima tappa almeno, utilizzi l’attore e la sua comunicativa vocale e gestuale piuttosto che la scena, l’habitat teatrale, il complessivo.
Riteniamo necessario procedere in tale direzione per due ordini di motivi:
– eliminare il superfluo, l’incrostazione culturale borghese comunque presente nell’insieme della messinscena;
– utilizzare gradualmente gli strumenti ribaltando nel loro significato sociale.
In questa direzione ha grande importanza la musica e la ritmica popolare e la comunicazione/recitazione da singolo attore a comunità di spettatori.
Cercheremo comunque di stare bene attenti ad evitare un discorso in cui vadano a predominare eccessivamente i significati rispetto alle forme, e ciò crediamo sia ottenibile con un’analisi ed una ricomposizione del gesto popolare, della sua capacità straniante/coinvolgente. Come il livello di convenzione teatrale “per contrario” elimineremo, o al più divideremo, l’uso dei costumi, trucco e luci ed i rapporti tra diversi strumenti teatrali.”
Tutto sommato potrebbe essere stato scritto oggi. Non dimentico i suoi spettacoli rumorosi e coinvolgenti, la sua sintassi imperfetta, le invasioni e le invenzioni. Ricordo la grande “processione laica” per le strade della Pignasecca, e la sua attrice dal volto dolce e intento, vestita di bianco, con gran mantello celeste ed enorme aureola rossa e oro che apriva il corteo. E ad una donna che le chiese: «Signurì site ‘a maronna?» rispose sdegnosa: «No, io songo ‘a pizza!»

ex-manicomio-Vado a Firenze per ritrovare amici non dimenticati e parlare di quegli anni lontani. Ne trovo tanti, venuti come me a “fargli gli auguri”. Ma trovo anche tanti altri, giovani e meno giovani. Sono quelli che hanno popolato il mondo di Claudio Ascoli in tutti questi anni, vissuti lontano e mai da “emigrato”. Già, perché Claudio se ne partì un giorno dalla sua città che forse gli stava stretta. O gli sembrava troppo distratta per ascoltare il suo rumoroso entusiasmo sempre “in eccesso”. Se ne andò senza aspettare di essere “ferito a morte”, senza che gli venisse a mancare l’aria, e sopratutto senza rinunciare al suo sogno di fare teatro “in movimento”. Dove la parola movimento significa quella costante attenzione e provocazione civile a cui non voleva rinunciare. E non vi ha rinunciato. Ma intanto non ha perso un briciolo di quell’antico entusiasmo che gli conoscevo, e continua a distribuirlo aitanti giovani e giovanissimi che frequentano il suo spazio e le sue idee teatrali. Bizzarre per tanti, ma forti e vincenti invece, se sono state capaci di attraversare gli anni e non diventare “condanna”.
Parla Claudio Ascoli e non c’è nel suo parlare ombra di rammarico o di recriminazioni. Napoli è presenza lontana e costante, ma il lavoro si fa dove si può, e non vi si rinuncia.

Alle 21 in programma c’è una “edizione speciale” di C’era una volta… il manicomio. Passeggiata di teatro per non più di una cinquantina di spettatori per volta. Bisogna prenotarsi per tempo, e c’è chi ritorna più volte, magari coi figli, o con qualche amico. Ci lavora con Sissi Abbondanza, da sempre compagna d’impegno e di vita con cui divide sogni e passione. Claudio Ascoli replica questo strano e coinvolgente spettacolo da 13 anni, ci sono venuti fino ad ora circa trentacinquemila spettatori, questa sera è la replica numero 528, piove, e qui di durerà un po’ meno delle abituali tre-quattro ore…
icona66679_800«Questo mio è uno spettacolo-affabulazione-denuncia sulla storia del manicomio fiorentino» dice raccogliendo il pubblico nella sala grande in cui inizia il lungo percorso. Parla e non sembra che reciti tanto è convinto, mostra vecchi filmati, documenti d’antica follia, di incontri disperati, di violenze silenziose. Si resta turbati e si entra nel gioco che l’attore conduce con sapienza, alleggerendo la tensione e trasformando atroci verità in comprensibili menzogne. Si sorride amaro. Ci si scambiano occhiate prudenti. Poi il “pifferaio-Ascoli” inizia il cammino per i viali alberati di San Salvi, ed il pubblico segue in silenzio. Alberi magnifici e edifici malandati, restauri malati e cancelli che si aprono stridendo, luci accese da sempre come miraggi misteriosi, buio improvviso. E sempre la voce dell’attore che dice. Racconta di antiche battaglie in cerca di una umanità cancellata. Legge documenti strazianti di appelli malati, lettere crudeli e disperate, numeri che fanno impressione tanto pesano sulle coscienze di chi ascolta. Ma intanto si fa strada ogni tanto un sorriso, mentre la storia gioca a confondere possibili verità e improbabili invenzioni, e lo sguardo stupito indugia su di un territorio ferito e ancora bellissimo che rischia, si dice, di diventare terra per pochi.
«Bisogna sottrarre San Salvi alla speculazione, alla svendita ai privati, bisogna che resti un bene comune e che viva per tutti e con tutti», dice Ascoli al pubblico che ha già imparato ad amare quello spazio da fiaba da cui solo il teatro e la vita potranno scacciare i fantasmi di antichi soprusi perpetrati in nome di una medicina crudele e trasformarli in ricordo.
Se chi governa quel luogo lo saprà ascoltare, forse Claudio Ascoli, con i tantissimi amici di “Chille de la balanza”, vinceranno la loro lunga battaglia. Glie lo auguro. Così ancora una volta il suo fare teatro avrà avuto il senso eroico e lieto e la vita misteriosa e profonda che cercava partendo da Napoli.

Giulio Baffi

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