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In qualità di attore e regista, Franco Branciaroli rievoca un’epoca gloriosa del teatro inglese: quella dei capocomici impegnati nella diffusione e conoscenza del verbo del sommo Shakespeare.

Foto Umberto Favretto

Foto Umberto Favretto

Andare a teatro e riviverne i rituali, i retroscena, i preparativi attraverso le vicissitudini di una piccola compagnia teatrale inglese prossima a salire sul palcoscenico per rappresentare Re Lear, mentre fuori impazza la Seconda Guerra mondiale: è quanto accade assistendo a Servo di scena di Ronald Harwood (tradotto da Masolino D’Amico), regia di Franco Branciaroli, in programma al Teatro Bellini fino a domenica 24 novembre.
Principale protagonista dell’azione è Norman, il servo del titolo, colui che nel teatro britannico è più correttamente definito “the dresser”, ovvero l’assistente personale del primattore (a differenza dell’italianizzato “servo di scena” con cui si intende, invece, il tecnico a disposizione dell’intera compagnia): interpretato con bravura da Tommaso Cardarelli che ben ne valorizza il carattere premuroso, chiacchierone e sempre vigile a servizio del suo burbero capocomico, Sir Ronald (il matt-attore – come lui stesso si definisce – Franco Branciaroli), è intorno alla sua figura che ruota lo sviluppo dell’intera storia, all’interno della quale noi pubblico siamo proiettati a partire dal momento in cui, chiusi in camerino, a poche ore dall’apertura del sipario, gli attori sono in attesa dell’arrivo del loro Sir vittima di un malessere improvviso che lo ha costretto al ricovero in ospedale.
L’idea che lo spettacolo debba essere annullato è l’unica che serpeggia tra la sconsolata Milady (Lisa Galantini), pronta a divenire Cordelia, la preoccupata e rigorosa direttrice di scena Madge (Melania Giglio) e gli altri tre coprotagonisti (Daniele Griggio, Giorgio Lanza e Valentina Violo); solo uno di loro è certo che lo spettacolo si farà, anzi, deve farsi, e questi è Norman, a cui il testo affida il nobile pensiero per il quale bisogna essere profondamente rispettosi del pubblico e del ruolo fondamentale che questi ricopre nel gioco del teatro, sicchè anche solo per uno spettatore vale sempre la pena andare in scena. Nulla potrà, pertanto, l’arrivo di Sir in uno stato di innegabile stanchezza fisica e psicologica: la rappresentazione avverrà!

Foto Umberto Favretto

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Il primo atto della commedia è, dunque, sulla vestizione di Sir, intervallata da ripensamenti, momenti di tensione, confusione di ruoli e personaggi, bombe che illuminano a giorno gli interni quasi a voler distruggere il teatro (nel significato metaforico di fine del teatro inglese equiparata alla fine dell’Inghilterra attaccata da Hitler), ad essere incentrato e non poche saranno le battute e i passaggi che, ricorrendo ad una semplice ma efficace ironia, supportata da un lavoro attoriale  valido e calzante per ciascuno dei personaggi (rispetto al quale si estrinseca con cura il lavoro di regia), divertiranno gli spettatori (uno fra tutti, Sir che si trucca da Otello e pronuncia frasi del Macbeth).
Funzionale al ritmo veloce, l’accurata scenografia di Margherita Palli, che, divisa in due parti, al piano di sotto riproduce, con grande effetto, i camerini di in teatro degli anni Quaranta la cui articolazione consente di dare movimento alla recitazione e di ben rendere la concitazione che anticipa un debutto; mentre al piano di sopra disegna il dietro le quinte di un palcoscenico. Quello sui cui reciteranno i protagonisti del nostro spettacolo metateatrale nel riprodurre il dramma shakespiriano, e su cui si svolgerà una delle scene più divertenti e apprezzate da chi scrive, ovvero la riproduzione della tempesta.
Di impatto totalmente diverso il secondo atto: connotato da una maggiore lentezza e staticità, nulla aggiunge alla conoscenza dei personaggi, le cui peculiarità caratteriali sono già state messe bene in luce nella parte iniziale, e, piuttosto, sembra voler stiracchiare, per allungarlo, un racconto che potrebbe giungere a conclusione anche prima di quanto non accada, senza che ciò inciderebbe negativamente sullo sviluppo della storia ed il suo finale.
Ispirato da quanto vissuto in prima persona dallo stesso Harwood quando, aspirante attore, entrò a far parte della compagnia di Donald Wolfit, la stessa di cui era parte anche il suo futuro amico Harold Pinter, Servo di scena è uno spettacolo che paradossalmente, pur raccontando uno spaccato di teatro dal di dentro, descrivendone tensioni, stress, intimità, quello cioè che non traspare – perché non può trasparire – agli occhi di chi guarda una volta che le luci si sono spente e il sipario si è alzato, non intende assumersi (all’apparenza) il peso di alcun retro pensiero, o messaggio celato, preferendo piuttosto una linearità e intelligibilità da cogliere abbandonandosi al solo piacere di condividere, da spettatore, le vicende di un gruppo di attori, apprezzarne la “parola” (esempio tipico di teatro di “conversazione”), lo stile e ritrovando nei dialoghi e nei personaggi quella che è la natura – nella sua forma più essenziale – del teatro: il luogo, cioè, in cui realtà e finzione si fondono e confondono fino a quando le luci nuovamente non si riaccendono.

Ileana Bonadies

 

Teatro Bellini
Via Conte di Ruvo, 14 – Napoli
Contatti: 081 549 12 66 – botteghino@teatrobellini.it
www.teatrobellini.it
Orari: feriali ore 21 – domenica ore 17:30

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