La morte e il suo contario
Le parole di Saramago, al Nuovo Teatro Sanità, nell’adattamento a cura della compagnia LaERTe, mostrano che la più grande paura dell’uomo non è la morte, ma la mancanza di umanità.
Ad inaugurare il progetto del Nuovo Teatro Sanità di proporre una “piccola residenza per compagnie under 35” è lo spettacolo Piuttosto la morte che una tal sorte in scena fino a questa domenica 12 gennaio, ore 18.
Tratto da Le intermittenze della morte del premio Nobel portoghese José Saramago, la pièce, in due atti, condotta dalla compagnia LaERTe ha la firma di Luca Di Tommaso alla regia.
Le voci dei cinque attori in scena di nero vestiti, completamente neutri a qualsiasi caratterizzazione, si sovrappongono l’una sull’altra per farsi unisono nel countdown di un capodanno temporalmente e spazialmente indefinito, un capodanno “in cui nessuno più è disposto a morire”. È in questo giorno, convenzionalmente assunto a nuova vita dagli uomini, in cui progettare nuovi buoni propositi, che la Morte decide di smettere di lavorare entrando in sciopero, uno sciopero che ella stessa definirà una sorta di sfida e di punizione, una “prova di resistenza al tempo gratuito”. L’umanità indistinta dei cinque prende forma chiara in essi quando sul palco si allestiscono una serie di quadri scenici, veloci, con valenza quasi cinematografica, intervallati, forse troppo spesso, da secondi di buio in scena.
Tutte le contraddizioni e gli interrogativi sono mostrati in queste visioni: il potere dell’uomo di governo che, per nascondere alle masse il problema, definisce “l’anomalia non allarmante”; il potere dell’uomo di chiesa che prende il posto della ragion di stato, prevalicandola e sostituendola. Per la chiesa sì che è allarmante la questione: niente morte, niente resurrezione=nessun timore per fedele di continuare a credere alla speranza di una vita eterna. La famiglia di poveracci che è obbligata ad accompagnare i propri cari oltre la frontiera, laddove la Nera Signora non ha deciso di beffare nessuno e continua ad uccidere, affronta il tema dell’eutanasia, mentre i grotteschi protagonisti di una soap dai colori e dai toni sudamericani fanno i conti col tema della vecchiaia. L’escamotage di varcare il Paese per dare riposo eterno a chi non ce la fa più a sopravvivere a questo limbo, impostogli, sembra avere la sua efficacia e per ogni cosa che funzioni c’è chi cerca di farne un business. La maphia (col ph, distinguendola dalla reale, per restare entro i limiti di una narrazione surreale e favolistica) propone un accordo al potere: ritirare i soldati al confine in cambio della sua discrezione nel traghettare i futuri moribondi nell’aldilà. Il patto tra gentiluomini è siglato, sorveglianti “disattivati” e finti suicidi si ripetono a loop nella macchina inscenata dagli attori (Giuseppe Cerrone, Mario Di Fonzo, Antonio Parascandolo, Antonella Raimondo, Angela Tamburrino), momento in cui è esaltata la coralità dell’impianto registico. L’iniziale entusiasmo degli uomini per l’inaspettato regalo dell’immortalità è arrestato dal real patetico flusso di coscienza dell’infermiera di una casa di cura, la cui esperienza accorata e sentita spiattella in faccia agli spettatori la necessità di una “rotazione di vivi e di morti”. Una morte biologica, fisica è il tassello fondamentale e imprescindibile nel ciclo naturale della vita ed è la sola possibile soluzione al caos in atto. La decisione di ritornare a vestire il suo mantello nero e la sua maschera bianca è la svolta che la Morte impone al racconto. Adesso ella agisce recapitando una lettera di color violetto alla prossima vittima, per preavvisarle la sua imminente fine. L’annuncio getta la popolazione nel caos: è una nuova Sodoma e Gomorra, osservata da lontano da un violoncellista, nuovo personaggio della storia.
Il secondo atto corrisponde ad un totale cambio di registro: dinamico e ricco il primo tempo, più introspettivo e spoglio questo. È un’ardita scelta registica che, da un lato consolida la forza delle immagini ma dall’altro avvia ad una disorganicità e ad un esasperato lirismo che scema solo nel finale. Si potrebbe parlare di due spettacoli in uno. Ora cambiano i protagonisti: un musicista, (Roberto Soldatini) Eros e la Morte, (Margherita Romeo) Tanatos. Le corde del violoncello hanno il potere d’interpretare lo stato d’animo della Mortifera Falce, come se ella potesse avere un’anima. Subendo la sua prima fascinazione-antropomorfizzazione, si trasforma in una donna sensuale e sinuosa che nel gioco delle parti è sedotta e seduce. Ella comincia ad incuriosirsi ad un’umanità di cui aveva conosciuto solo gli ultimi afflati fino a quel momento, spia l’uomo e riesce ad introdursi nella sua casa. È una donna che per la prima volta scopre il corpo, il suo corpo ri-fondato, che per la prima volta sente, prova e ha paura, ed è la Morte che per l’ultima volta non si riconosce più come era stata per secoli. È un “gracias a la vida” che suggella l’unione tra i due insoliti innamorati, in un’umanità scoperta e riscoperta da entrambi. Eros avvolge tra le sue braccia Tanatos, nel velo del Desiderio ed è così che “il giorno seguente non morì nessuno”.
Antonella D’Arco
Nuovo Teatro Sanita’
Piazzetta San Vincenzo 1 Rione Sanità, Napoli
Tel: 3396666426
Orario spettacoli: domenica ore 18.00