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Alla Sala Molière di Pozzuoli va in scena una rivisitazione della commedia shakespeariana che innesta il vernacolo nel testo originale, senza stravolgere nulla. Per un possibile equilibrio tra ricerca e rispetto.

 

Foto Gennaro Esposito

Foto Raffaele Esposito

Ritrovarsi a frequentare un’isola felice senza averne il presentimento è sempre un’esperienza che ha del conturbante. È quanto succede ogni volta che si arriva in un posto come Sala Moliere, che certamente ha poco a che fare con qualsiasi altro luogo teatrale della città puteolana immerso nel centro storico, sia per questioni evidentemente geografiche che per le conseguenze che questa collocazione comporta. Il teatro dove il teatro non si sa ci sia è un calcio alla regola non scritta che la cultura si possa fare solo in talune zone prestabilite.

Ciò non è solo il tentativo di una vana digressione socio-culturale, perché l’impressione è davvero che qualsiasi cosa venga portata in scena nello spazio teatrale nato dall’iniziativa di Nando Paone e Cetty Sommella finisca inesorabilmente per tingersi di entusiasmo, essere contaminata dalla buona volontà di ricercare nuove strade.
È quello che accade in Sogno di una notte d’estate andato in scena dal 17 al 19 febbraio a Pozzuoli, frutto dell’ adattamento, non solo del titolo, della celebre commedia shakespeariana a cura di Gianmarco Cesario che lo ha anche diretto. Una rivisitazione che ha il dichiarato obiettivo di ricercare nuove vie senza variare l’obiettivo finale, ove mai fosse possibile raggiungerlo percorrendo nuovi itinerari, ove mai su Shakespeare dovesse esserci ancora del non detto.

Ecco che quindi, pur conservando una fedeltà assoluta alle vicende del testo, l’esperimento è quello di innestare il vernacolo nell’originale di Shakespeare, caricando sulle spalle del coraggioso Roberto Capasso, nel ruolo di Capechiuovo (Bottom), il peso della responsabilità di fare da controcanto “popolare” alla parte istituzionale del testo: è lui la punta di diamante della combriccola di artigiani impegnati ad allietare il duca di Atene in occasione delle sue nozze con la rappresentazione teatrale della vicenda di Piramo e Tisbe. Qualcosa che ha il sapore del dilettantismo a primo impatto, ma che dopo un’attenta riflessione, si finisce per credere possa essere il riscontro che Shakespeare avrebbe voluto pensando a questo segmento della commedia.

Va certamente sottolineato come, in determinati momenti dello spettacolo il caos corra il serio rischio di farla da padrone, costringendo lo spettatore a combattere con una differenza di registri vasta ma al contempo giustificabile sulla base del dichiarato intento sperimentale dell’operazione, con personaggi che accedono dal proscenio come dalle quinte, e scelte di regia leggermente sopra le righe, piuttosto bizzarre, per legare insieme quello che nelle note di presentazione viene definito un pot pourri di “realtà, fantasia, sogno, incubi, allegria, commedia, dramma, amor cortese e sensualità”. Ciò nonostante, quello che emerge è qualcosa che si muove appunto nella direzione dello sperimentalismo non pretenzioso di una messa in scena che fa dell’equilibrio tra la ricerca e il rispetto dell’originale l’orizzonte verso il quale tendere. E si tratta di una ricerca d’equilibrio non casualmente riflessa anche nella composizione del gruppo d’attori che hanno preso parte allo spettacolo, nell’ordine Titti Nuzzolese, Valerio Gargiuli, Paolo Gentile, Alessandro Marano, Giovanna Marziano, Livia Berté, Giuseppe Fiscariello, Domenico Annunziata, Giusy Gargano, Veronica Montanino, Salvatore Stellaro, Nunzia Ambrosio e Niko Mucci nelle vesti di Egeo. Un cast composto da alcuni talenti naturali alternati ad interpreti che convincono molto meno. Scevra di ogni presunzione, la rappresentazione va premiata per la semplicità e il coraggio con cui è realizzata, più la piacevole sensazione di sapere che Shakespeare resta più vicino a noi di quanto possa sembrare.

Andrea Parré

 

Teatro Sala Molière
Via Bognar  21, Pozzuoli (Na)
Tel. 393 069 98 91 – 081 303 13 95
Sito: http://www.salamoliere.it/

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