Raccontando sentimenti
Lino Volpe non ha tradito le aspettative: successo di pubblico per il “cantastorie d’altri tempi” che al Teatro Acacia ha portato in scena in data unica, Scala napoletana.
Lo spettacolo, che fonde insieme musica e parola, è la rivisitazione in italiano di Vico tutti i Santi che ha debuttato al San Babila di Milano lo scorso aprile e riproposto in cartellone nel teatro milanese lo scorso novembre.
Volpe, accompagnato da Sasà Piedepalumbo alla fisarmonica e Franco Ponzo alla chitarra classica, è entrato sul palcoscenico in punta di piedi, ma da subito lo ha conquistato e per novanta minuti colui che si definisce “un autore, un narratore e un attore a cui piace cantare” ha accompagnato lo spettatore in un viaggio attraverso la memoria, dalla seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni, facendo emergere quanto per lui la memoria non sia quella che si apprende nei libri di storia, ma quella fatta di particolari, di piccole cose, di racconti che ci aiutano a ricordare chi siamo e da dove veniamo.
La scala a cui allude il titolo è l’immagine con cui l’artista intende il modo di vivere di noi napoletani: sempre in bilico. Che non poggia mai su nulla di certo, e un giorno fa sentire in cielo mentre un altro induce a ricominciare tutto da capo. Siamo come la nostra città, fatta di salite e discese. E proprio per rendere tale idea, Volpe sceglie di raccontare spaccati della quotidianità degli abitanti del Vico Tutti i Santi, nel quartiere San Lorenzo, dove è nato. Le sue parole hanno così reso tridimensionali i personaggi che hanno dato vita e colore a una scena volutamente spoglia e che improvvisamente è diventata un vero e proprio vicolo. Ecco allora apparire don Mimì, il guappo del quartiere, di professione sarto; il ” generale”, che in realtà era un appuntato dei carabinieri; Peppe ‘o svizzero, chiamato così perchè rubava i Rolex; lo zio, Vicienzo ‘o cuzzecaro.
La scena, però, cambia radicalmente quando Volpe veste i panni di Totore Pelleossa, e inizia a narrare la storia del mitico Tonino Nasibù, il suo migliore amico («Erano comme ‘a calamita e ‘o fierro»). Da questo momento in poi il pubblico ha assistito a vicende tragicomiche legate alla guerra e ha “sentito” come suo il più grande problema di quel periodo, ovvero la fame («’na fame infinita»). Ha poi conosciuto gli inquilini del palazzo dove Tonino nacque (il custode don Aniello, Maria detta Marittella con il marito Bruno ‘o professore; Assuntina a zizzacchia perchè aveva «due zizze enormi»; Anna detta Nanella ‘a sciancata, «un donnone enorme tutta storta»; Bublibù chiamato così perchè era «chiatto chiatto », il ricco e malvagio don Ferdinando Aragosta, detto capa ‘e vacca, che con la moglie, a mucca, e i due figli, i vaccarielli, abitava tutto il primo piano), e infine è stato proiettato indietro, negli anni Sessanta, quando quei ragazzi, diventati oramai adulti, cominciarono a mettere su famiglia. E qui Volpe ha colto l’occasione per presentare un personaggio che in Vico tutti i Santi non c’era: Annarella a vighinga, moglie di Peppe ‘o sciupato. La fanciulla, dal fisico esile, era specializzata in «capate in bocca con lo strascino, antica arte marziale tipicamente femminile», ed irresistibile è stata la descrizione che è stata fatta.
La narrazione, intima e universale al tempo stesso, si è conclusa con una rivelazione: Tonino Nabisù era suo padre.
Durante lo spettacolo, il “Duo novembre” (così chiamato scherzosamente dallo stesso Volpe a causa dell’abito nero che entrambi i musicisti indossavano), ha interpretato numerosi e noti brani, tra cui Scalinatella, Fenesta vascia, Amaro è o bene, Nanasse, Tammurriata nera, Anema e core, Bellavista e un suo inedito, Camma fa, presente nel lavoro discografico di prossima uscita.
Mimmo Sica