Cinecittà è…
Il luogo simbolo del cinema a Roma raccontato attraverso lo sguardo e i ricordi di Christian De Sica. Al Palapartenope fino a domani.
Christian De Sica non è un uomo di teatro, lo sa e con umiltà e professionalità lo aveva detto nel recente incontro avuto con i giornalisti. Nell’occasione aveva descritto Cinecittà (per la regia di Giampiero Solari e organizzato dal Teatro Diana, in scena al Palapartenope fino a domani 16 febbario) come un varietà divertente, leggero e per niente presuntuoso che «serve pure a me perchè alla mia età ripulisce da tanti errori che magari si possono fare con la pubblicità, con la televisione, con i film di Natale». Per questo motivo l’approccio degli spettatori e degli addetti ai lavori è stato quello giusto e non si sono avute aspettative deluse. Il suo terzo lavoro musicale, infatti, è stato a lungo applaudito dal pubblico che ha gremito il teatrotenda di Fuorigrotta e ci è piaciuto. Con lui, sul palcoscenico, la sua Compagnia composta dagli attori Daniela Terreri, Daniele Antonini e Alessio Schiavo, da otto ballerini e da un’orchestra di venti elementi diretta dal maestro Marco Tiso.
Il filo conduttore di questo musical all’italiana è la storia di Cinecittà, quella vissuta da Christian che entrò per la prima volta nel mitico Teatro 5 di Federico Fellini mentre il padre, il grande Vittorio, girava la scena della fucilazione del generale Della Rovere, dell’omonimo film. Tanti i racconti di vita vissuta, gli aneddoti, i monologhi attraverso i quali l’artista ha percorso il periodo che va dal Ventennio fascista al cinepanettone dei nostri giorni, passando per il Neorealismo. Riportata alla memoria, tra le tante, l’immagine si suo padre che, durante l’occupazione nazista di Roma, scritturò circa trecento persone tra ebrei, partigiani, comunisti, per il film La porta del cielo, che doveva girare su commissione del Vaticano. Gli studi furono allestiti nella chiesa di San Giovanni che, godendo della extraterritorialità, consentì di salvare quelle vite in attesa dell’arrivo nella capitale degli alleati. Ricordati, ancora, sono stati gli anni Cinquanta, quando gli americani andavano a Cinecittà a girare i loro film, preferendola ad Hollywood, e poi la madre che viveva nel mondo dorato e fallace del cinema dei “telefoni bianchi” mentre il padre e Fellini cercavano di raccontare, attraverso la macchina da presa, la dura vita vissuta per le strade. Spazio c’è stato anche per un omaggio ad Alberto Sordi, suo “zio”, e a Roberto Rossellini.
La narrazione è stata inframmezzata da performance del corpo di ballo, da scene comiche in coppia gli altri attori, e da numerose interpretazioni canore, tra cui le notissime New York New York e O sole mio. Particolarmente divertenti gli sketch sui provini cinematografici, sugli attori smemorati e quelli sui doppiaggi. Efficaci le scenografie di Patrizia Bocconi che ha ricostruito con realismo il Teatro 5 nel quale il coreografo Franco Miseria ha fatto rivivere l’atmosfera del massimo splendore di Cinecittà. Perfettamente in “stile” i costumi di Ester Marcoviello. Pregevoli le musiche.
Mimmo Sica
Palapartenope
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