Il grande impostore
“Il contratto”, una delle opere meno rappresentate ma ancora molto attuale di Eduardo, è in scena a Galleria Toledo fino a questa domenica.
Fino a domenica 23 febbraio sarà in scena a Galleria Toledo Il contratto di Eduardo De Filippo, per la regia di Pino Carbone, prodotto da Ente Teatro Cronaca in collaborazione con Ex Asilo Filangieri, Tourbillon Teatro e o.n.g. Teatri e con la XXXIV edizione del Festival Benevento Città Spettacolo, nell’ambito del quale è stato rappresentato per la prima volta lo scorso settembre.
Il contratto è una commedia, facente parte della Cantata dei giorni dispari, che Eduardo compose e mise in scena nel 1967 ed è tra quelle meno rappresentate a teatro, a causa del successo e della richiesta che il grande drammaturgo, attore e regista napoletano aveva di altri suoi spettacoli. Nonostante ancora adesso non abbia particolare visibilità, risulta essere un’opera assai attuale per i temi trattati e soprattutto perché, anche in questo caso, il suo autore si conferma essere un grande conoscitore dei comportamenti umani a livello universale. Indubbiamente il mondo di Eduardo è sempre Napoli, per cui il linguaggio usato e l’ambientazione di fondo rimane la sua città natale, come se non avesse mai veramente lasciato Partenope per trasferirsi nella capitale, ma in maniera molto foucaltiana viene illustrato un microcosmo con tutti i suoi riferimenti particolari per poter parlare di un universo molto più ampio.
L’opera è divisa in tre atti, L’individuo, La famiglia e La società, e lo scopo è quello di puntare in maniera analitica lo sguardo sull’uomo e sui suoi rapporti prima personali, poi man mano legati ad una struttura relazionale sempre più complessa. Il protagonista della vicenda, ovvero Geronta Sebenzio, appare sempre a suo agio in ogni situazione e in grado di relazionarsi con l’altro a cui cerca di imporre, in maniera singolare e talvolta subdola, la sua volontà.
Nella messinscena di Carbone la divisione degli atti viene sottolineata attraverso la modifica di un particolare oggetto che rimane sempre sul palco e con lo svolgersi della trama si trasforma: si tratta di una pedana bianca, posta al centro, molto simile a quella utilizzata dai domatori di leoni, intorno alla quale sono posizionati degli sgabelli su cui si siedono gli attori, novelli animali da ammaestrare come appunto in un circo. L’intento è quello di evidenziare come il protagonista della storia abbia una particolare influenza sugli altri personaggi che riesce in qualche modo a suggestionare attraverso “la sua frusta”, costituita per lo più da parole gentili e apparentemente amorevoli. E in effetti, come scopriremo ben presto, egli esercita un grande potere sulle persone.
Nel secondo atto la pedana bianca acquista un cerchio attorno e nel terzo un altro cerchio ancora, diventando infine una giostra che gira intorno al suo fulcro centrale. Tale cambiamento avviene ogni volta manualmente grazie alla maestria di due tecnici di scena che si mettono all’opera tra un atto e l’altro, mentre il pubblico osserva a scena aperta, e la graduale trasformazione bene serve a rendere l’idea di come i personaggi ruotano tutti attorno ad un protagonista, eroe di una storia crudele e mascherata di Amore Vero.
Nonostante le apparenze, infatti, Geronta Sebenzio è in realtà un imbroglione, di quelli della peggior specie, di quelli che non vorrebbero attirare l’attenzione dei media, ma che deve far buon viso a cattivo gioco con i giornalisti che gli vogliono porre domande. Si dice in giro che egli, dopo aver stipulato un contratto morale composto da varie condizioni e clausole, faccia “resuscitare” le persone, o per meglio dire faccia ritornare in vita, grazie all’aiuto dell’Amore dei familiari e degli amici, coloro che hanno esalato l’ultimo respiro. Perché ciò accada è indispensabile che il defunto si sia comportato bene, sia stato generoso, cattolico praticante e che abbia accolto in casa chi aveva bisogno di aiuto. In questo modo, l’ambiente famigliare e di coloro che gli sono vicini risulterà pervaso d’Amore Vero, Puro e Disinteressato, necessario per il formarsi di una catena invisibile e forte che possa consentire a Geronta di richiamare alla vita il morto, che guarda caso è sempre una persona benestante. Che ha fatto preventivamente testamento. Ma cosa ci guadagna il nostro eroe? Assolutamente niente perché Geronta non chiede e non accetta alcuna offerta economica. Egli agisce in tal senso solo per spirito di fratellanza, o così vorrebbe far credere.
Lo spettatore, solo col proseguire della storia comprende il reale sistema di truffa pensato e articolato in ogni dettaglio da Geronta con risultati positivi. Egli, infatti, inizialmente si presenta come un Santo, come colui che dalla vita ha subito molteplici torti ma ha sempre saputo perdonare chi gli fatto del male. E attraverso le parole del suo fedele compagno Isidoro Esposito, accentuata è la sua immagine vestita da bontà infinita, nonostante le cattiverie inflittegli dai suoi stessi familiari per motivi legati ad eredità da ricevere e dividere. (Azzardando un parallelo con il presente, potremmo dire che il suo atteggiamento da “onesto e puro” ricorda un po’ quello di un noto personaggio politico italiano, di cui si preferisce non riportare il nome, che pubblicamente si presentava come un martire perseguitato ma nonostante ciò non poteva fare a meno – diceva – di aiutare ed immolarsi per il suo popolo.)
Se però il suo comportamento è certamente da condannare, vero è, comunque, che esso è reso possibile dall’avidità e dal desiderio di essere immortali di ciascuno. In tal senso d’impatto risulta essere la scelta di adottare un manichino per rappresentare sia il corpo del defunto benestante, sia i suoi oggetti di valore che i familiari si contendono come se si trattasse di una preda catturata su cui accanirsi a morsi.
La scenografia, curata da Luciano Di Rosa, è scarna, volta all’essenziale e priva di fronzoli, e presenta uno sfondo nero, neutrale che bene mette in luce il carattere universale della vicenda. Ciò consente di meglio concentrarsi sul testo di Eduardo e sulla qualità attoriale. In scena solo sette attori (a differenza della versione originale che ne prevede di più). Claudio Di Palma e Carmine Paternoster, nei ruoli rispettivamente di Geronta Sebenzio e Isidoro Esposito, sono gli unici a interpretare sempre lo stesso personaggio, Anna Carla Broegg, Andrea de Goyzueta, Giovanni Del Monte, Francesca De Nicolais e Fabio Rossi, invece, ricoprono più parti nel corso dello spettacolo, limitandosi non solo a modificare gli abiti ma anche il registro linguistico e gli atteggiamenti in maniera assolutamente riuscita.
Anche la scelta dei costumi, creati appositamente da Selvaggia Filippini, è frutto di decisioni registiche efficaci e utili a simboleggiare ogni volta uno stato d’animo diverso, non necessariamente legato al cambio di personaggio.
Gabriella Galbiati
Teatro Stabile d’Innovazione – Galleria Toledo
via Concezione a Montecalvario, 34 Napoli
tel. 081 425 037
www.galleriatoledo.org
Orario spettacoli: feriali ore 21 / domenica ore 18
Per avere maggiori info sullo spettacolo: http://www.enteteatrocronaca.it/produzioni/il-contratto