A Sala Assoli il mito e la storia
Stasera in scena la seconda ed ultima replica di Antigone, una guerra civile.
La guerra, si sa, che sia d’un tempo lontano oppure presente e viva, esige sempre un tributo di sangue, di ossa, di vita. Ma il tema su cui Antigone, una guerra civile, rivista e diretta da Mirko Di Martino, per una produzione del Teatro Uroboro, vuol condurre l’attenzione dello spettatore non è la barbarie del conflitto militare, la crudeltà delle armi, lo strazio dei vinti; il cuore pulsante della messinscena è il futuro, da ricostruire fuori e dentro gli uomini, che si dipana in modo difficoltoso tra nuove libertà e l’esigenza dell’ordine.
Nella sala scende d’improvviso l’aprile del 1945: la guerra è finita, ma altrove ancora si combatte. Nella sala scende d’improvviso l’Antigone di Sofocle, con i suoi interrogativi prototipici sul giusto e sugli affetti e sulla morte; chi tra amore ed odio è il più forte?
Due in scena (Luca di Tommaso e Titti Nuzzolese) sovrappongono il mito e la storia: ecco Creonte, già guida dei partigiani, ora commissario della nascitura amministrazione repubblicana – quanta retorica nelle sue parole, quanta esaltazione ideologica, ma quali debolezze nascoste: egli è schiavo del suo stesso potere -; ecco Ismene, incompiuta e mite, fragile e benpensante, che tardi prova a redimersi per aver vissuto in modo tranquillo e “borghese” – e senza neppure troppa convinzione -; ecco Antigone, sorella di Ismene, sorella del valoroso comandante partigiano Eteocle – morto – e del combattente repubblichino Polinice – morto – innamorata d’Emone, figlio di Creonte, innamorata della vita.
La trama, così come nell’opera omonima di Sofocle, si svolge tutta intorno al divieto, posto da Creonte, di dare sepoltura al traditore Polinice: “Che sia impiccato per i piedi e legato a testa in giù da un lampione”; ma Antigone, fiera e coraggiosa e già staffetta partigiana, non può tollerare un tale oltraggio al corpo del fratello. Dentro di lei – una donna che rischia di minare la credibilità politica dello zio Creonte – si agitano le grida della coscienza, delle leggi divine, dell’amore fraterno; cosa può il “tiranno” Creonte contro le voci di dentro?
L’esito è già scritto, né possono qualcosa i ripensamenti del partigiano, le preghiere d’Emone e di Ismene, il monito di una vecchia cieca – corrispettiva di Tiresia.
“Il sole sorge all’orizzonte, ciò che deve accadere si compie.”
A chiudere la piece è un contadino, forse la figura meglio interpretata dell’intero spettacolo, che, col periodare caratteristico dei cittadini di Romagna, confida al pubblico tutta la disattenzione e l’incomprensione dei ceti più bassi verso la politica e le scelte dei potenti; che se tutti avessero un po’ di terra, e un po’ di voglia di lavorarla, la guerra non sarebbe mica scoppiata?
La messinscena, forse appesantita dall’incrocio tra tema mitico e realtà storica, a tratti sembra schiava di quella stessa retorica di cui araldo è Creonte – più recitazione che vita -, salvo rivelare note di leggerezza nell’empatia che personaggi come Ismene e il contadino istituiscono con gli spettatori.
Antonio Stornaiuolo
Sala Assoli
Vico Lungo Teatro Nuovo 110
Spettacoli: 16 e 17 aprile, ore 21:00
Info e prenotazioni: 081 1956 3943