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Nell’ambito del Napoli Teatro Festival, Lluís Pasqual arbitro di questo Finale di partita, porta in scena il Teatro dell’Assurdo.

Fonte foto ufficio stampa

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Dopo la regia de La casa di Bernarda Alba di Federico Garcia Lorca, presentata al pubblico nel 2011, Lluís Pasqual torna al Napoli Teatro Festival, mettendo in scena in prima mondiale, al Nuovo Teatro Nuovo, il 9 e 10 giugno, Finale di partita, la pièce più “difficile ed ellittica […] più disumana di Godot”, come lo stesso autore, Samuel Beckett, la definisce in una lettera al regista americano Alan Schneider.
Completata nel 1956, la seconda opera teatrale del drammaturgo inglese è stata interpretata da molti critici come la necessità di parlare della condizione umana reduce dal Secondo Conflitto Mondiale, ambientata in un luogo post-atomico, pregno di un passato pesante e privo di un qualsiasi ipotizzabile futuro. In realtà il Teatro dell’Assurdo, e per eccellenza quello beckettiano, vanta la capacità di rivolgersi e di trattare temi universali che sarebbe riduttivo cristallizzare in situazioni contingenti, storicizzate e localizzate.

Hamm, che ha il volto e la voce di un bravo Lello Arena nell’adattamento di Lluís Pasqual, è un vecchio paralitico, cieco, avvolto nella sua vestaglia rubino di paillettes, un despota, padre-padrone, che impartisce convulsivamente ordini e comandi ad un giovane Clov, sul palco Stefano Miglio, suo servitore-figlio.

La semplicità dell’azione drammatica e la fissità della scena, seguono la forte volontà registica di esser fedele alle intenzioni e alle indicazioni di Beckett e rispettano il testo nella traduzione di Carlo Fruttero.
Una lamiera bianca, retroilluminata e posta a semicerchio, con due sole aperture, finestre sullo “schifo” del mondo reale, è il confine che segna il recinto del bunker-rifugio, forse mentale, sicuramente metaforicamente filosofico, dove i protagonisti vivono il loro finale di partita a cui sono destinati. Ed è la non accettazione dell’ inevitabile fine di questa partita a scacchi, già persa in partenza, in cui Hamm è il re e Clov il pedone, che costringe il protagonista a giocare fin quando incombente non si manifesta la conclusione. Giocare qui ha una doppia valenza, rifacendosi al termine in lingua inglese to play, in cui si palesa inoltre la sua natura di significato teatrale e metateatrale, piuttosto che semplicemente ludica, di recitare, in un continuo darsi e ricevere battute tra gli attori-personaggi.

La scelta di narrare la propria storia con parole che talvolta descrivono un rituale ossessivo di azioni, disegnando la quotidianità, e tal’altra rievocano un vissuto procreatore del presente immutabile e senza vie d’uscite, prive di un apparente filo conduttore e catapultate nell’illogicità del linguaggio non convenzionale di Beckett, manifesta fortemente il superamento della funzione linguistica come segno distintivo di qualcosa di comprensibile.

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Ad irrompere nella gabbia di ricatti in cui è chiuso Clov, incapace di ribellarsi ai continui maltrattamenti subiti, quasi impedito nella fuga da una sorta di pietà-necessità che lo lega al suo aguzzino, sono Nagg e Nell, i genitori del ricco, spietato e manovratore re, anche loro soggiogati dal suo potere e costretti a sopravvivere in due bidoni dell’immondizia, paralizzati nella loro condizione di sudditanza. I due, Gigi De Luca e Angela Pagano, mettono a frutto la loro esperienza nel teatro napoletano, e vestiti da moderne maschere, un po’ Pierrot e un po’ Pulcinella, strappano risate in sala, per il gioco di contrasti ben riuscito.
Altrettanto non si può dire del contrasto tra Hamm e Clov che, invece, non sempre è andato a buon fine. La contrapposizione tra l’immobilità dell’inumano burattinaio, forzato su una sedia a rotelle, debole su quel trono che è condanna e fonte di ogni sua crudeltà, e l’immobilità del servo, obbligato a non potersi sedere mai, per quella sua camminata rigida e vacillante, status quo che lo induce infaticabilmente a non riposarsi, non è stata spinta con vigore, soprattutto dalla resa attoriale fissa del giovane Clov, forse per un’acerbità di esperienza in un teatro sicuramente di non facile conduzione.

Semplici espedienti scenici e la rivisitazione dei costumi, ad opera di Frederic Amat, che ha anche curato le scene, oltre che l’intonazione degli attori hanno bene interpretato la scelta di Pasqual di contaminare con la cadenza partenopea il testo, senza mai tradirlo, in un melting pot di generi e tradizioni.
Dopo questo debutto, lo spettacolo troverà ancora ospitalità a Napoli nella prossima stagione teatrale del San Ferdinando, tra gennaio e febbraio 2015.

 Antonella D’Arco

Info: http://www.napoliteatrofestival.it/

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