Manlio Boutique

“Mura” di Riccardo Caporossi al Museo Ferroviario di Pietrarsa, un piccolo spettacolo con grandi potenzialità ancora tutte da sperimentare.

Riccardo Caporossi

Riccardo Caporossi

Lo scorso 8 giugno ha fatto il suo debutto in prima assoluta presso la Sala Cinema del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, nell’ambito della rassegna del Napoli Teatro Festival, lo spettacolo Mura, ideato, diretto e interpretato da Riccardo Caporossi.
Dalle note di regia apprendiamo che la performance si è liberamente ispirata al ben noto mito della caverna raccontato da Platone all’inizio del settimo libro de La Repubblica. La simbologia, ricchissima di implicazioni filosofiche, morali e politiche, che si cela dietro questo mito, è divenuta ormai da tempo un vero e proprio locus classicus della tradizione del pensiero occidentale cui la letteratura, il cinema, la scultura e le arti in genere hanno saputo attingere per rappresentare, in forme diverse, lo strenuo tentativo compiuto dall’uomo di spezzare le catene della condizione di asservimento cui l’ignoranza e le passioni della propria limitata natura lo inchiodano per dischiudersi, alfine, al raggiungimento della conoscenza pura della realtà.
Questa volta si è voluto scomodare il grande filosofo greco per mettere in scena uno spettacolo che, almeno nelle intenzioni, si presentava con elementi di indubbia originalità e creatività, ma la cui effettiva resa finale non ha saputo cogliere e mettere a frutto compiutamente le potenzialità estetiche e narrative insite nella performance.

Una scena

Una scena

La scena iniziale che si offre allo sguardo, una volta aperto il sipario e spente le luci in sala, ci viene descritta efficacemente dallo stesso regista: «C’è un muro dietro il quale c’è una superficie su cui si proiettano ombre. Al di là del muro le ombre concretizzano forme: mani, scarpe, cappelli, scale, bottiglie, cannocchiali, bastoni, ombrelli». Il muro che si erge dinanzi a noi sul palco, già evocato del resto dal titolo stesso dello spettacolo, è in effetti un vero muro fatto di mattoni dietro il quale si muovono agilmente delle mani ricoperte di guanti bianchi, tipici dell’arte del mimo, intente a smantellare poco per volta, mattone dopo mattone, l’intera costruzione.
Il cuore della rappresentazione è tutta qui, in questa progressiva, lenta demolizione del muro: i mattoni, infatti, vengono abilmente sottratti man mano dando vita a un infinito gioco metamorfico, in un mosaico sempre cangiante di forme e di soluzioni architettoniche diverse che, sebbene all’inizio sorprenda e seduca lo spettatore, finisce col risultare monotono e ripetitivo, ingenerando una continua ed estenuante attesa di un coup de théâtre che purtroppo non arriva mai. Il tutto in un assoluto e quasi palpabile silenzio, senza alcun commento musicale che forse avrebbe favorito e accresciuto la poeticità della performance. Anche l’intervento della voce fuori campo, all’inizio e alla fine della rappresentazione, è stata penalizzata da un’acustica non certo impeccabile che ha impedito se ne comprendesse appieno il senso.
Lo spettacolo di Riccardo Caporossi, tutto concentrato sulla levità del gesto e sulla creatività figurativa, avrebbe potuto osare di più, credere maggiormente nel potere salvifico dell’immaginazione, l’unico forse in grado di annullare ogni separazione, di abbattere ogni barriera, ogni steccato mentale fatto di odio, di paura e di ignoranza entro il quale ci si trova spesso imprigionati.

Armando Mascolo

Info: http://www.napoliteatrofestival.it/edizione-2014

Print Friendly

Manlio Boutique