Peggy Guggenheim, il Teatro Nuovo si sposta sul Canal Grande
Sorprendente la messinscena, al suo debutto nel NTFI 2014, che narra le vicende della grande collezionista, raccontando sfumature e idiosincrasie di una donna la cui casa museo veneziana è fucina della storia artistica del Novecento.
Chiunque abbia avuto la fortuna di visitare, almeno una volta, la casa museo di Peggy Guggenheim a Venezia, oltre al Canal Grande e alla bellezza debordante del panorama, non può non aver notato l’autenticità di un posto senza eguali al mondo. E appare ben poco casuale, pertanto, che lo spettacolo Peggy Guggenheim – Donna allo specchio, andato in scena al Teatro Nuovo nell’ambito della rassegna del Napoli Teatro Festival, per la regia di Alessandro Maggi, si ponga l’obiettivo di rendere l’idea del senso di questo luogo, della sua eziologia, del significato profondo della sua conservazione in una forma quanto più vicina possibile a quella originaria: vale a dire l’abitazione veneziana della grande collezionista.
È pressoché un soliloquio quello che va in scena, di una donna – plateale, istrionica, vulcanica – che riflettendosi in uno specchio si racconta in tutta la sua franchezza, per mezzo della voce e del corpo di una straordinaria Fiorella Rubino: Peggy passa dai cenni storici del suo tempo agli intrecci che questi hanno intessuto con la sua vita personale e intellettuale, finendo per trasmettere il concetto abbastanza verosimile che un pezzo di storia sia letteralmente passato a Palazzo Venier dei Leoni (la sua abitazione, appunto). Chi era Peggy Guggenheim? Cosa ha fatto per conquistarsi la fama di cui gode? Dove finiscono i suoi meriti personali e comincia il rispetto recondito per la sua ricchezza, più che per chi sia realmente?
A tal proposito nella drammaturgia scritta da Lanie Robertson è lampante l’immagine di una donna dall’intelligenza franca e diretta, per quanto forse non raffinata; una donna che ha vissuto il secolo scorso come una vera contemporanea e non “abitando” il Novecento coi modi ottocenteschi (qualità che Gertrude Stein, ad esempio, attribuiva al solo Picasso); dotata di una forma mentis che ha dunque anticipato i tempi e contrastato le convenzioni irridendole, e per questo motivo con non pochi nemici nella cerchia dell’intellighenzia del tempo.
In particolare, sottilissimo appare il filtro attraverso cui passa l’atto di delineare il suo rapporto con l’arte: Peggy Guggenheim ha fatto del suo intuito istintivo il tratto dirimente della carriera da collezionista. Mai stata esperta d’arte, priva di una sensibilità acuta, diventa autosufficiente e navigata perché in grado di ascoltare e apprendere, senza che le manchi il coraggio di relazionarsi con assoluti geni del suo tempo e di mostrare la sua vera natura, quella di mecenate: lei conosce il valore del denaro, sfrutta tutte le potenzialità di quello che possiede, ma, appresi questi precetti, li mette completamente da parte quando si interfaccia con la materia artistica.
E così, tra vestiti firmati dai più noti stilisti al mondo, una scenografia bianca in toto e forse composta da elementi di scena troppo squadrati per somigliare alla vera casa di Venezia, si viene a sapere che per uno strano intreccio di dinamiche mentali Pollock non sarebbe esistito senza Samuel Beckett; che il genio di Picasso era direttamente proporzionale alla sua superbia; che il Guggenheim di New York, al di là dell’omonimia e della parentela, ha poco da condividere con il percorso intrapreso dalla mecenate in Europa, e che forse Peggy, con effetti controproducenti, si sforzò di vedere in sua figlia, Pegeen, l’estro che avrebbe desiderato per sé, e il cui destino, invece, fu tutt’altro che roseo: morì giovane per un’overdose da farmaci, dopo aver combattuto contro la depressione per una parte consistente della sua vita.
Il lavoro di scrittura è notevole, così come la prova interpretativa della protagonista che ha il merito, dopo primi istanti di indecisione, di imporre allo spettatore l’impressione veritiera di avere davanti a sé una persona che di una grande donna del secolo scorso non sia il semplice rifacimento, bensì ella stessa.
Andrea Parré