Storia di una padre e una madre
Debutta in prima assoluta al Napoli Teatro Festival “Making babies”. In scena, il 21 e 22 giugno, presso la Sala Cinema del Museo Ferroviario di Pietrarsa a Portici, Teresa Saponangelo e Lino Musella diretti da Fortunato Cerlino.
È mattino e una coppia di quasi quarantenni si accinge a fare colazione, come sempre, come ogni giorno, colta nella tenerezza della loro felice quotidianità. Martino, uomo insicuro e timoroso, anche di sua moglie Alice, già vestito di tutto punto per andare a lavoro, prepara il vassoio con il caffè e le fette biscottate; lei, disinvolta, scalza e con indosso solo una camicia di lui, cammina per la cucina, mangiando del miele dal barattolo in un tentativo di seduzione del suo timido compagno. «Io ho trentotto anni e voglio avere un bambino», «Mi vuoi lasciare?»: basta questo iniziale e divertente botta e risposta per delineare i caratteri dei personaggi.
Mentre Alice caparbiamente asseconda il suo istinto che la conduce al desiderio-bisogno di maternità, Martino, sfuggente e sfuggevole, evita di affrontare l’argomento, a suon di battute brillanti ed ironiche accompagnate da movimenti scenici e dall’inseguimento del gatto Mizzy che regalano al pubblico sincere risate.
Con un montaggio veloce, che impartisce cadenze vicine al mondo cinematografico, il regista Fortunato Cerlino entra in punta di piedi in questa semplice realtà familiare, decidendo di narrare la crisi-trasformazione che genera la maternità-paternità, sollevando entrambi i punti di vista a pari dignità all’interno della messinscena. E lo fa raccontando tutti quei luoghi comuni che accomunano gli uomini in una situazione universale, non tralasciando nessun aspetto della vicenda, con la leggerezza e la forza proprie della verità, vissuta e fortemente contemporanea, senza scadere mai in facilonerie e superficialità, costringendo gli spettatori tutti a guardarsi dentro, mentre si osserva una vicenda apparentemente altrui.
Ad aiutare Cerlino in questo compito i due interpreti, quanto mai giusti nei ruoli a loro affidati. Teresa Saponangelo, intensa, tragica, capricciosa, sognatrice, vera. A lei si deve l’idea del progetto Making babies, mutuato dai diari dell’autrice irlandese Anne Enright, scritti nel 2004, lettura suggeritale dalla traduttrice Valentina Rapetti e da cui è nato un laboratorio d’interviste condotte a donne in stato interessante, preziosa documentazione per le suggestioni che animano la pièce. All’adattamento, completato da Fortunato Cerlino e Gianluca Greco, si è aggiunto lo sguardo maschile, dapprima impaurito, poi lucido e attento, presente nello spettacolo nel volto e nei gesti di Lino Musella, perfetto nei tempi comici che dà ritmo e verve all’intero impianto drammaturgico.
Su un doppio binario si muove la crisi individuale e personale e quella socio-economica, spiccatamente nazionale ed attuale, scandita anche dalle musiche e dalle creazioni audio, (quelle originali sono di Matteo Cavaggioni e Filippo Barracco) che accompagnano gli stati d’animo della donna e dell’uomo. Semplicemente un cambio luci e una panchina (disegno luci di Gianluca Cappelletti, scene e costumi di Barbara Bessi) delimitano un luogo indefinito in cui gli attori confessano perplessità, paure e appetiti, di ieri e di ora, con degli a-parte in cui il pubblico ride, si riconosce e riflette.
Nell’alternanza di quadri dagli evidenti spunti comici, tra gli altri è da segnalare quello nello studio dell’ostetrica in cui si palesano in maniera ancor più manifesta le due visioni differenti degli universi maschile e femminile, e s’inserisce il taglio psicologico che si è voluto dare, sottilmente sotteso all’interno del racconto.
Martino ed Alice avranno una bambina che gli spettatori seguiranno fino al suo secondo anno di vita; una bambina, assente sulla scena, ma la cui presenza si sente e si avverte come predominante sin dall’idea del suo concepimento. L’intreccio percorre passo dopo passo le evoluzioni dei coniugi, l’incombente necessità di autodefinirsi come entità singole ora che il lieto evento lo esige, la precarietà di una condizione a cui si è obbligati che rende incerta la progettazione e anche il volere e il potere dei due, il capovolgimento delle parti, in cui deus ex machina è il cambiamento, fisico in Alice, che adesso la spaventa e disorienta, lo smarrirsi come identità di coppia per poi ritrovarsi in un nostalgico abbraccio e nel racconto di un ricordo lontano.
Un figlio, emblema e simbolo del futuro, mette in discussione proprio quell’avvenire del quale non si vede la possibilità di realizzazione, ma è anche e soprattutto la spinta alla Vita, come rovescio di una medaglia in cui l’altra faccia è disegnata dalla Morte, in quanto perdita-mancanza, un po’ di se stessi e un po’ angoscia di vedersi portar via qualcosa o qualcuno che si ama troppo. Quella “nota bassa dentro di sé che suona di gioia” è l’Amore che spinge gli uomini a raccontare da secoli la più naturale, dolce e sorprendente storia mai conosciuta: la nascita, emanazione e dono di se stessi.
A sancire il successo di pubblico il lungo applauso sull’abbraccio corale tra i protagonisti, il regista e tutti i collaboratori, a cui va l’augurio di portare in tournée lo spettacolo per la prossima stagionale teatrale.
Antonella D’Arco