Storie improvvisate
Si avvia alla conclusione la seconda edizione dell’ImproTeatro Festival che, tra stupore e curiosità, sta coinvolgendo sempre più spettatori. Tra gli spettacoli andati in scena: “Harold”, per un racconto dai mille colori e i molteplici linguaggi.
Prendi una parola, rigorosamente suggerita dal pubblico, e trasformala nell’incipit di una drammaturgia: è questa la semplice ma al contempo articolata modalità con cui costruisce all’istante le sue storie il teatro di improvvisazione. E questo è quanto accade per tutti gli spettacoli dell’ImproTeatro Festival in corso in questi giorni tra Napoli e la provincia di Salerno, prima dell’ultima data in programma, dopo undici appuntamenti spalmati in circa un mese di attività, alla Mostra d’Oltremare domenica 27 luglio alle ore 21.
Esempio di “Long Form”, ovvero di costruzione di storie improvvisate con una trama più complessa in cui linguaggi teatrali differenti si combinano tra loro per una fusione omogenea sebbene variegata, Harold, la messinscena presentata dalla compagnia Improteatro, è dal termine “candela” che ha preso avvio sviluppandosi in una serie di episodi e ha visto impegnati sul naturale palcoscenico del Vesuvian Institut di Castellammare di Stabia affacciato sul golfo, otto attori: Giorgio Rosa, Mari Rinaldi, Mariadele Attanasio, Marianna Valentino, Patrizio Cossa, Tiziano Storti.
Sprovvisti di qualsivoglia elemento scenico, tranne dei cubi di colore nero usati all’occorrenza come sedute, gli otto protagonisti, non solo attori ma in questo caso anche autori delle battute inventate all’impronta, nonché registi dei singoli quadri che di volta in volta hanno preso corpo, si sono alternati tra storie ad ambientazione “dark” a più tradizionali spaccati di vita quotidiana raccontati con umorismo, giocando su stereotipi e imprevisti che sebbene spesso usati negli sketch comici non hanno mancato, anche in questa occasione, di far ridere e divertire.
Modulare la composizione della compagine attoriale di volta in volta al centro della scena: se in alcuni casi, infatti, tutti erano gli attori impegnati e dunque maggiore appariva il lavoro di coordinazione necessario perché non si creassero vuoti o interruzioni, in altri solo due o tre erano i personaggi coinvolti e di conseguenza più snella appariva l’intera struttura. Presente la musica a fare da sottofondo e in alcuni passaggi in particolare a sottolineare l’azione.
Frutto di una combinazione che non è mai la stessa e che cabalisticamente può essere più o meno fortunata sulla base anche degli intrecci imprevedibili che assume la storia, legata unicamente a quanto si è visto è la valutazione che se ne può fare di uno spettacolo d’improvvisazione, ancor più di quanto non accade già normalmente a teatro: nel caso di Harold sicuramente vincente si può definire l’esito finale, grazie ad una tensione che non è mai calata durante l’ora di spettacolo e il cui merito va certamente alla capacità degli attori di sapere cogliere con velocità e maestria ogni singolo spunto dettato da una frase pronunciata o da un gesto compiuto dal collega accanto, senza spezzare quella fluidità essenziale perché appunto corale risulti la rappresentazione e ogni storia appaia legata all’atra attraverso un elemento comune che per questo mai viene perso di vista e che ritroviamo, sotto forme ogni volta nuove, dall’inizio alla fine della trama, come un cerchio che si chiude prima di soffiare definitivamente sulla “candela”, oggetto/pretesto del lavoro drammaturgico d’improvvisazione.
Al termine, più di una le voci ascoltate che confessavano il desiderio di poter intervenire durante lo sviluppo dinanzi ai loro occhi della storia al fine di suggerire possibili soluzioni o alternative diverse da quelle poi adottate dagli attori, in un’ottica, dunque, di coralità che travalica il palco per raggiungere anche gli spettatori che – chissà – non possano diventare, nelle prossime occasioni, artefici in prima persona della costruzione del canovaccio.
Ileana Bonadies
Per maggiori informazioni: http://www.improteatrofestival.it/.