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Questa sera, ore 20:30, per la rassegna A(s)soli giovani ultima replica di “Condannato a morte. The punk version”.

Foto di Lina Maria Palumbo

Foto di Lina Maria Palumbo

A rileggere Hugo con gli occhi dei suoi contemporanei appare molto meno “classico” di quanto si sia abituati a pensare; ed è proprio immaginando questo particolare filtro percettivo che il regista di Condannato a morte ha potuto superare l’elegante tessuto ottocentesco delle sue pagine per scorgervi un’anima decisamente punk. L’ultimo giorno di un condannato a morte appare allora una protesta molto più urlata, violenta e palpitante di quanto si possa comprendere oggi attraverso la lettura; appare una rivolta contro quella società – e qualsiasi società di qualsiasi tempo – che si avvalga della pena capitale per affermare il proprio abominevole senso della giustizia.
Contro gli stati, ancora una sessantina nel mondo che usano la pena capitale – a volte eseguita in segreto come in Giappone –, si schiera questo spettacolo con la collaborazione e il patrocinio di Amnesty International (www.amnesty.it).
«Il sistema della vendetta legalizzata non riabilita e non risarcisce nessuno» ci ricorda Stefano Leone di Amnesty Napoli a conclusione della serata, invitandoci a firmare l’appello per la scarcerazione di Hakamada Iwao, detenuto da 45 anni nel braccio della morte. Che cosa significa vivere nel lasso di tempo concesso da questa terribile condanna?

Foto di Lina Maria Palumbo

Foto di Lina Maria Palumbo

Lo scopriamo in scena nei 50 minuti della performance, invitati dal boia ad eseguirla in silenzio. Significa vivere nella ritmica serrata del punk, urlando e battendo piedi e corpo come fa l’unico interprete, Orazio Cerino, senza fiato, senza speranza. Significa impazzire e perdere la propria identità, nelle voci diaboliche della burocrazia che esegue inconsapevole, protetta dallo stato di grazia dei presunti innocenti; significa vivere ricordando i propri affetti e progettando fughe impossibili.
Tuttavia, lo spettacolo non arriva come un pugno allo stomaco, arriva alla testa, perché richiede concentrazione e pensiero, una forma di straniamento. Solo così il pubblico può sottrarsi all’accusa di carceriere e carnefice “per il bene dello stato”.
Il regista, Davide Sacco, affida infatti un ruolo preciso e molteplice anche agli spettatori, perché il sistema di giustizia adottato da un entità impersonale come lo stato possa rivelare il volto dei cittadini che lo hanno scelto e restituire loro la responsabilità e la possibilità di rifondarlo.
Ottime le intuizioni per la messinscena del giovane regista e dello scenografo Luigi Sacco per questa versione dichiaratamente punk dell’opera di Hugo, in cui acquista un peso particolare l’assenza di musica. Il ritmo è solo quello dato dal corpo: il fischiettio – citazione raffinata dal film M. Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang? – , i beat sul microfono con le dita, i colpi sul pavimento di legno, con i piedi con le mani e infine le parole.
Qualcosa però comunque manca: una forma di coinvolgimento più profondo per lo spettatore; manca l’anima dell’attore che dovrebbe filtrare in qualche modo; mancano momenti di respiro nel ritmo serrato del recitato che ci consentirebbero di entrare davvero nella condizione del personaggio. Mancano distorsioni necessarie e una qualche forma di crescendo nella messinscena, per intenderci: momenti in cui lo spettacolo trovi altra forma o la speranza di un’altra forma, come quella che suggerisce invece la scenografia con la sua gabbia dalle pareti sfondate.

 

Stefania Nardone

Sala Assoli,
Vico Lungo Teatro Nuovo, 110 – Napoli
Costo biglietto: €10, ridotto per gli under 35 a €8
L’approfondimento di questa sera a cura del professor Giuseppe Ferraro, docente della Federico II di Napoli e del Link Coordinamento Universitario
Per Info e prenotazioni: botteghino@associazioneassoli.it – 081 195 639 43/339 429 02 22

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