“Il catalogo”, l’aspetto inumano delle relazioni interpersonali
A Galleria Toledo in scena una inquietante e kafkiana riflessione sulla sterilità fisica alla quale corrisponde quella degli affetti, dove chi si cela dietro una maschera perbenista alla fine rivelerà il suo lato disumano.
Grottesca messinscena più che mai attuale, Il Catalogo, a Galleria Toledo fino al 26 ottobre, nasce dalla sorprendete fantasia di Angela Di Maso che ne cura anche la regia.
La drammaturga si cimenta in una scrittura difficile, sia per la tematica oggi di grande attualità, ovvero quella dell’adozione, affrontata con tagliente incisività, sia per la complessità del testo tutto giocato sulle parole alla spasmodica ricerca del loro peso specifico e della loro musicalità, che cadenzano lo svolgersi della vicenda trattata. Ogni aggettivo superfluo, virtuosismo linguistico o espediente baroccheggiante viene qui eliminato a favore di un dramma minimale, grazie ad un’operazione che l’autrice definisce «di sottrazione per tornare ad un teatro di parola». La trama segue una coppia sterile che si presenta in “un’azienda di adozioni”, per coronare il sogno di diventare genitori e dare inizio alla formazione di una propria famiglia, tanto desiderata. Ma l’argomento diviene un pretesto per rivelare le brutture dello spirito umano e svelare la crudele natura che spesso si cela dietro un’apparente immagine idilliaca: la coppia desiderosa di allargare il proprio nucleo familiare, dopo una dolorosa quanto inquietante catarsi, metterà in mostra la sua immoralità e vuotezza d’animo esibendo l’effettiva mostruosità dei propri intenti e sentimenti, ovvero riflettendo – come sottolinea la regista stessa – «una realtà dove tutto ha un prezzo e niente ha un valore».
Termometro della metamorfosi dei due futuri genitori è l’intermediario dell’agenzia di adozioni, un personaggio dipinto come uno spregevole carnefice che con villana gentilezza decostruisce i due coniugi, riducendoli ad involucri vuoti ma finalmente consapevoli. La messinscena, infatti, è tutta incentrata sul braccio di ferro tra i tre personaggi: una prova di forza dell’uno sull’altro per arrivare alla severa verità che «se il volto mostrasse i segni dei nostri sentimenti, nessuno avrebbe il coraggio di guardarsi allo specchio».
Massimo Finelli, Patrizia Eger e Giuseppe Cerrone danno corpo, con bravura, ai tre protagonisti, riuscendo nel difficile compito di caricare innaturalmente i personaggi senza cadere, però, in un’interpretazione eccessivamente esasperata, e ciò grazie ad una recitazione che studia con precisione ogni gesto, espressione mimica e tonalità di voce. Finelli in particolare, nel ruolo dell’agente, risulta il più brillante, mantenendo acceso il ritmo dello spettacolo.
Come il testo e la recitazione appaiono minimali così la scenografia, ideata da Armando Alovisi, si riduce all’essenziale e diviene profondamente concettuale. Difatti, per restituire un ambiente da traslochi in corso, unici elementi di scena sono delle scatole vuote disseminate sullo spazioso palcoscenico spoglio finanche delle quinte laterali e del fondale. Esse vengono trascinate e governate dell’agente con estrema facilità e con efficacia si fanno metaforicamente riflesso dei personaggi stessi: contenitori privi di qualsivoglia sentimenti etici o ideologici e nei quali la sterilità fisica corrisponde tragicamente a quella affettiva.
Inversa, rispetto all’impianto scenografico, è la funzione dei costumi di scena di Alessandro Varriale, attraverso cui non si evidenzia la vacuità dei protagonisti bensì si palesa la loro maschera: abiti sobri da media borghesia che mettono l’accento sullo status sociale di appartenenza, nonché sulla professione. Al contrario, Finelli sfoggia una mefistofelica maschera di trucco: egli infatti sin da subito si presenta per quel che è realmente, senza nascondere la propria meschina identità, ed anzi sarà proprio lui a far cadere la “maschera” alla coppia.
Il disegno luci progettato da Cesare Accetta e realizzato da Cinzia Annunziata è decisamente preciso e suggestivo: non solo segue senza sbavature la recitazione degli attori ma suggerisce, grazie a tagli luminosi fortemente sagomati, atmosfere tormentate e cariche di tensione che esaltano l’angosciante climax della messinscena.
Nel complesso, lo spettacolo piace soprattutto grazie alla forza drammaturgica del testo su cui si costruisce, inoltre nessuna delle sue componenti risulta approssimativa e tutte aggiungono elementi importanti per la visione globale dell’atto unico. Il senso d’angoscia e disorientamento permane fin oltre il termine dello spettacolo, anche perché, gli attori non escono dal proprio ruolo neanche al momento degli applausi: l’irreversibile caduta delle apparenze, in una società dove la nostra immagine pubblica è tutto, è tanto verosimile e coinvolgente che la platea stenta ad alzarsi, indecisa se la finzione sia davvero finita per lasciar posto alla realtà.
Alessia Santamaria
Galleria Toledo – Teatro stabile d’innovazione
Via Concezione a Montecalvario 34, Napoli
Contatti: galleria.toledo@iol.it – 081 42 50 37 – www.galleriatoledo.org
Bioglietti: Intero 15,00€; ridotto under30 10,00€; ridotto under65 12,00€