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Il Teatro Nuovo ospita Ritmos Vocales e inaugura il suo cartellone con lo spettacolo scritto e diretto dal maestro Enzo Moscato che si affianca sul palcoscenico all’intensa Isa Danieli, in scena dal 23 al 26 ottobre. 

Foto Francesco Squeglia

Foto Francesco Squeglia

Su un palco essenziale, due leggii, qualche sedia, una teca al centro a separare i campi d’azione dei due attori e sullo sfondo un baldacchino di tela con l’immagine di una Madonna, cominciano a prendere voce le allucinazioni sonore di una nenia dal sapore antico che dà corpo agli interpreti. Siamo in una dimensione altra, forse cerebrale, nel luogo indefinito della mente affollata dai pensieri, quelli di uno dei più grandi drammaturghi del Novecento: Eduardo De Filippo.
Alternandosi, Isa Danieli ed Enzo Moscato, che ha scritto e diretto la pièce, evocano l’umanità di un artista, di cui si è detto tanto circa il suo ruolo e l’acume di uomo di teatro, lasciando inesplorato, invece, il suo mondo di affetti o pretendendo di intuirlo solo dai suoi testi e dalle vicende familiari.
Tramite i ricordi di un bambino, curioso e già desideroso di fare l’arte della commedia, aleggia in sala l’immagine di una realtà ante e post guerra, fatta di stenti e di miseria, di una lieve risalita, e poi ancora di una povertà endemica e di morte, morte che colpiva anche gli innocenti e spensierati ghigni degli scugnizzi che, con le loro scorribande, andavano da via Bausan a piazzetta dell’Ascensione.

È il tema della morte che sottende all’intera scrittura, la paura di essa che assale il tanto ammirato Scarpetta negli ultimi istanti della sua vita, la violenza della fine che travolge un “uomo molto buono”, il poeta Pier Paolo Pasolini, con il quale Eduardo avrebbe dovuto girare un film, l’impotenza davanti all’improvviso e inaspettato sopraggiungere del buio, quando nel 1960 l’oscura falce si porta via l’amata figlia Luisella. Qui sono le parole di Napoli milionaria a disvelare la teca, all’interno della quale c’è l’icona-statua della piccina che giace, immobile nel cristallo, così come  cristallizzato è il dolore insuperato che ha ferito Eduardo, nel suo essere padre.

Foto Francesco Squeglia

Foto Francesco Squeglia

D’altronde il connubio morte-vita a Napoli non è altro che la doppia faccia di una stessa medaglia, e così “l’immensa distesa di veleno” blu che è il mare, visto come il cimitero dei corpi che lo hanno attraversato, ammaliati dalla sua bellezza e storditi dal suo odore acre, suscita “puro amore o odio inveterato”.
Ma la morte fisica che spaventa tutti e a cui nessuno può sfuggire, non è quella dell’artista che può a-cadere in qualsiasi momento, quella è il malinteso. Logorante e lacerante male, come la calunnia, di cui Eduardo ha sofferto e che ha irrigidito, col passare degli anni, quel “gelo delle sue abitudini teatrali”, benché il suo cuore tremasse sempre tutte le sere per quella platea di cui era in grado d’intercettare voglie, desideri e volontà, vestendo una maschera capace di riparargli l’anima dall’“imprevidente” pubblico.

In Tà-kài-tà Moscato dipinge un suo personalissimo ritratto dell’autore-attore-regista partenopeo, con parole e suoni arcaici, codificati in un linguaggio di un passato prossimo, comunque contemporaneo. Lui, che non ha mai conosciuto Eduardo in vita, ha deciso, non casualmente, di accompagnarsi in scena da chi  ha respirato la stessa polvere del palcoscenico del maestro, una lucida e impeccabile Isa Danieli, che con forza e sensibilità fa avvertire agli spettatori lo spirito ancora vivo e vivifico dell’artista.
Il racconto in frammenti scandaglia dinanzi agli occhi molteplici visioni ed è interrotto, qua e là da pantomime o da inserti musicali, alcuni dei quali non condivisi, poiché tesi a distrarre dall’atmosfera rituale e sacra, che si è creata, piuttosto che ad incorniciarla e a rafforzarla nel suo senso. Resta comunque la poesia di una lingua spezzata che genera un flusso ritmico continuo, il verbo di Moscato, cifra distintiva del suo modus autoriale, magari di non immediata e lineare leggibilità, ma carico di una potenza che sconfina nell’emozione più nuda e viscerale.

La performance, che ha aperto la stagione 2014-2015 del Teatro Nuovo, rientra nel progetto Ritmos Vocales, assieme a Napoli’43 e a Luparella. Si tratta di tre allestimenti molto diversi tra loro e con una messinscena indipendente, che Enzo Moscato propone come trittico di sonorità e idiomi, all’interno di uno studio correlato da un laboratorio di scrittura teatrale, che si svolgerà dal 3 novembre al 2 dicembre.

Antonella D’Arco

Teatro Nuovo
Via Montecalvario 16-  Napoli
Info e prenotazioni:081 497 6267 – botteghino@teatronuovonapoli.it
Orario spettacoli:feriali 21.00, domenica 18.30

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