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Al Teatro Nuovo di Milano in scena lo scorso weekend la commedia di Emma Peirson che bacchetta il genere maschile a suon di accesi monologhi in rosa.

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Tutta nelle mani nel corpo e nella voce di una scatenata attrice, l’operazione teatrale che segue a CaveMan diretto da Teo Teocoli ha come regista lo stesso protagonista dello spettacolo a cui essa si ispira, Maurizio Colombi, il quale, probabilmente, cerca di assecondare le volontà del pubblico medio, senza però lasciare un segno tangibile nel calendario di inizio stagione degli spettacoli milanesi.
Tant’è che in CaveWoman la protagonista, Valentina Ferrari (che si alterna nelle repliche con Elena Morara), non si risparmia in nessun momento della performance, ma il suo, talvolta, sembra più uno spreco di energie che un investimento ragionato e coscienziosamente volto a scatenare gustosi effetti di ilarità generale.

Del resto, è proprio il contenuto dello spettacolo a lasciare interdetti, a partire dalla scenografia fissa: sul palco campeggia un telefono oversize utilizzato per chiamare Dio, un abito da sposa che aleggia severo vicino alle quinte, una cyclette, un boa finto maneggiato come se fosse un microfono, un divano leopardato e qualche piantina qua e là per richiamare la natura; alle spalle di questi oggetti di scena, un telo bianco mal tirato su cui viene proiettato lo scorrere dei giorni che precedono la data x del matrimonio e un quadro preistorico, cornice che sta a simboleggiare – anche visivamente – il titolo dello spettacolo, il cui tema portante è l’incontro scontro dell’universo femminile con quello maschile.

Uomo e donna, si sa, non sono più due facce della stessa medaglia, ma sono piuttosto come due monete di diverso conio: servono entrambi a far funzionare il mondo, ma quando entra in gioco l’uno l’altra non serve e i due si incontrano solo nel borsellino di qualche turista smarrito. Nel nostro caso, di questa dicotomia Maurizio Colombi ne ha fatto una piéce nel complesso allegra (ma nello specifico poco divertente), a tratti sconclusionata, mai noiosa o lenta, infarcita di una moltitudine di luoghi comuni e facili stereotipi che più di così non si può.
A farla da maggiore, in CaveWoman, è dunque la mano calcata su preconcettualismi tanto semplificati quanto, oramai, triti e ritriti. Nel prevedibile campionario della rappresentazione non manca assolutamente nulla: bifolchi in veste di fidanzati dal coloratissimo accento romanesco che si presentano ad un passo dal matrimonio con una birra ghiacciata in una mano, il sempiterno telecomando pronto per la partitella calcistica di turno nell’altra, che propongono insistentemente alla disgraziata sposina una sveltina di piacere; solite tavolette del water mai alzate/abbassate; riferimenti a calzini che perdono il proprio compagno nei meandri delle lavatrici in fase di centrifuga; turbolenti sommovimenti intestinali dei mariti italiani…
Ben assestate, in questo panorama, sono state però alcune parentesi di sincero divertimento, in cui la protagonista – con una disinvoltura ed una padronanza mimico-interpretativa davvero eccezionali – ha saputo intrattenere tutto il pubblico caricaturando due monologhi in dialetto meridionale e, successivamente, recitando le parti di una sciagurata donzella alle prese con i bagni pubblici muniti di turca.
Insomma, un one-woman-show che, se ben costruito dal punto di vista drammaturgico, avrebbe avuto tutte le carte in regola per sfondare ma che, purtroppo, si è rivelato essere una piccola ma cocente delusione per quanti avrebbero voluto ridere di gusto, facendo per una volta a meno dei consueti siparietti da Bagaglino nobilitato e tributando il giusto onore ad una protagonista che, sola sulla scena, ha tentato di incarnare in sé tutte le problematiche che, più o meno spiritose, contribuiscono a rendere Uomo e Donna dannatamente diversi, ma buffamente complementari.

 

Erika Sdravato

Teatro Nuovo
P.zza San Babila – Milano
Info e prenotazioni: prenotazioni@teatronuovo.it
Tel.: 02-794026

 

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