Napoli ’43
Enzo Moscato indaga la sua Napoli, in un racconto a più voci, ricordando la Guerra e come essa ha segnato profondamente il cambiamento di una città, tenera e feroce ancora oggi come allora.
Napoli ’43 è la seconda tappa del progetto Ritmos Vocales, promosso dalla Compagnia Teatrale Enzo Moscato presso il Teatro Nuovo, che prevede l’allestimento di tre rendez-vous e di un laboratorio di e sulla scrittura per il teatro. Ancora una volta, come di solito nei lavori dell’autore, regista e attore partenopeo, le sonorità e la musica risultano essere protagoniste insieme agli interpreti sul palco. Nel buio della sala è sempre una nenia-canzone a traghettare lo spettatore verso un viaggio fortemente simbolico nella storia attraverso un percorso d’iniziazione nel passato, collettivo ed individuale, medium e strumento di riflessione profonda sulla contemporaneità.
Napoli’43, che ha per sottotitolo Scenario Evento per il 70esimo D.Day Napoletano (poiché al suo debutto, nel settembre dell’anno scorso, ricorreva l’anniversario delle Quattro Giornate), si propone quale racconto corale, in frammenti, degli eventi che riguardarono quei giorni d’insurrezione a Napoli. La violenza degli occupanti e degli occupati che assalì la città, trasfigurandola indelebilmente, descrive, senza inutili e facili manicheismi, le barbarie di quell’epoca e della guerra nelle sue zone d’ombra, ai margini di un confine labile che mette in luce “ non il vero, l’oggettivo, […] l’ufficiale, ma il declivio soggettivo, eccentrico, scabroso dell’irregolare anomalo privato, l’inconfessato intimo d’a follia”.
Sulle immagini sceniche di Mimmo Paladino, eteree nella loro seppur incisiva icasticità, si sovrappongono le figure degli attori, quasi fotografie di un album di famiglia, quella di una città, Napoli che accoglie dentro di sé chiunque l’abbia attraversata. I popolani, gli scugnizzi, i militari, i rivoltosi, i nazisti, i deportati vengono assorbiti e rigurgitati dalle viscere di Partenope, la quale li restituisce, nello spettacolo, come voci possenti, rassegnate, prepotenti e impaurite che rimbalzano sui corpi e nelle menti di chi le ascolta e le rievoca.
I fantasmi sonori in scena riecheggiano le presenze-assenze dei vari personaggi, negli scampoli della memoria di storie lontane che si affastellano tra loro sulle musiche originali di Claudio Romano e nei costumi di Tata Barbalato, entrambi contributi preziosi che aiutano la visione segmentata della messinscena, operando secondo salti onirici, ma restando fortemente ancorata alla realtà, in una contrapposizione ossimorica e nella ricerca del contrasto, modus operandi vincente nell’arte di Moscato.
L’esecuzione del nemico, la spia albina, interpretata da Cristina Donadio, fa da contraltare all’ardore della ribelle Rita la mandolinista, un’intensa e verace Lalla Esposito, alternando quadri di una spiazzante tragicità a spaccati di forte ed irriverente ironia. A tal proposito l’altalena che vede contrapporsi un magistrale Benedetto Casillo e un poetico Enzo Moscato, in veste di chansonnier, registra un momento di acuta sensibilità attoriale e performativa, su cui domina una scrittura sempre fluida e vibrante.
Salvatore Cantalupo, Enza Di Blasio, Gino Grossi, Carlo Guitto, Rita Montes, Salvatore Chiantone, Paco Correale e i giovani Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Amelia Longobardi, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato sono tutti chiamati a rappresentare, nei loro ruoli, le vittime, i fascisti collaborazionisti, i pavidi, gli eroi, i militari e in ogni sua forma l’ “ambiguità a quintali” di un popolo che mosse la sua rivoluzione per necessità e per fame, più che per consapevole scelta civile e politica. La conclusione, affidata alla familiare quanto affabulatrice recitazione del maestro Antonio Casagrande, svela il senso sotteso della pièce, in una provocatoria missiva pregna di amare parole: “ […] in un paese e in un popolo totalmente istupiditi, indifferenti, egoisti, rassegnati, dovremmo fare il voto a qualche santo che risorgano e ritornino i Tedeschi, a molestarci, offenderci, ferirci mortalmente, come prima e più di prima! Così, almeno, reagiremmo da cristiani, come facemmo allora!” È qui che la fattispecie di una vicenda, inscritta in un dato periodo storico, travalica il suo recinto e si fa attuale, in un monito ad una sana e pacifica insurrezione culturale ed intellettuale.
La lettera succitata è inoltre la chiusura di Tempo che fu di Scioscia, una raccolta di racconti, sulla guerra e su quelle Quattro Giornate, scritti da Enzo Moscato ed editi da Tullio Pironti. La maturazione del libro è stata la naturale prosecuzione del lavoro teatrale di Napoli’43, che dal palcoscenico, arricchendosi e trasmutato in letteratura, si è trasferito sugli scaffali di una libreria. A ragione, la presentazione del testo, avvenuta ieri, 7 novembre, non poteva esser più calzante in occasione della prima dello spettacolo, in replica al Teatro Nuovo fino a domenica 9 novembre.
Antonella D’Arco
Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16- 80134 Napoli
Info e prenotazioni: 081 497 62 67 – botteghino@teatronuovonapoli.it
Orario degli spettacoli: ore 21.00 (feriali), ore 18.30 (domenica)