Manlio Boutique

La Popular Shakespeare Kompany approda a Napoli con un classico del teatro, rivisitato dall’occhio registico di Valerio Binasco che regala al pubblico un inedito Silvio Orlando in un altrettanto finora inesplorato Shylock. 

Fonte foto ufficio stampa

Fonte foto ufficio stampa

Dall’11 al 16 novembre nel cartellone del Teatro Bellini c’è Il Mercante di Venezia, nell’allestimento contemporaneo che Valerio Binasco ha adottato per la sua pièce. In genere si hanno non poche ritrosie e qualche perplessità nel momento in cui un testo classico del teatro o della letteratura vengono manipolati sulle corde dell’attualità, perché è come se quella scrittura, distante da noi secoli, ci appartenesse e dovesse restare immutata nell’immaginario mentale collettivo, per altri secoli ancora. Non si può avere alcun tipo di pregiudizio in merito, però, quando un’operazione tale è condotta con intenzioni lineari ed ordinate, nel rispetto dello spirito del Teatro-Umanità, così come Valerio Binasco si è proposto di fare.

Conoscendo le motivazioni della nascita della Popular Shakespeare Kompany e del suo regista, si comprende appieno che la volontà di mettere in scena Il Mercante di Venezia è mossa dall’esigenza di far rivivere e vivificare, con mezzi che possano far avvicinare e coinvolgere gli spettatori, un Umano proteiforme, mellifluo e precario in cui chiunque riconosce e si riconosce in dinamiche che sembrano mai mutate nel corso del tempo.
Cos’è d’altronde un classico e che senso avrebbe continuare a rappresentarlo, se esso non continuasse a parlare all’uomo di oggi? Tutto si ridurrebbe ad un mero gusto erudito di contemplare un’estetica del passato? Nell’epoca odierna, lontana dal contesto storico nel quale si svolge Il Mercante di Venezia, dare forma alle parole di Shakespeare significa non snaturarne l’essenza su cui esse sono state imbastite nel 1598.

Fonte foto ufficio stampa

Fonte foto ufficio stampa

Ed è un lavoro che inizia in primis dal linguaggio, adattato, con qualche taglio e licenza qua e là, senza incorrere in pericolosi ed eccessivi stravolgimenti o tradimenti, ma reso genuino dalla cinesica degli interpreti e dai dialetti italiani, tutti diversi tra loro, nei quali gli stessi recitano alla ricerca di una maggiore verità del personaggio e del tipo umano di cui vestono i panni. Una differenziazione di idiomi che diviene contrasto e contrapposizione allorché, con una parlata slava, appare Shylock (Silvio Orlando) l’ebreo, lo straniero, l’Altro per eccellenza, altro anche da sua figlia Jessica (Elena Gigliotti), ebrea di nascita, poi cristiana per scelta e per amore di Lorenzo (Fulvio Pepe), che invece, d’istinto, usa la lingua dei più, dei molti, dei cristiani, rinnegando tanto brutalmente quanto superficialmente la sua origine. Già, i cristiani contro un ebreo, è questo il dramma di Shylock. Non si tratta di una questione religiosa che perfino l’autore di Stratford-upon-Avon aveva assunto a marginale pretesto per affrontare più che altro la condizione sociale ed economica, ma è lo scontro tra una moltitudine e la resistenza della solitudine dell’Uno che ora, qui, diventa fortemente uno status morale. Silvio Orlando è bravo nel costruire un intransigente mercante-usuraio, inamovibile nelle sue convinzioni, freddo calcolatore nel premeditare la sua vendetta con un “contratto da ridere” che ha per penale una libbra, all’incirca mezzo chilo di carne umana, quella di Antonio (Nicola Pannelli), a cui presta il denaro che servirà poi a Bassanio (Andrea Di Casa), suo amico, per corteggiare la bella Porzia (Elisabetta Mandalari). Ma la rigidità endemica  dell’ebreo non fa intravedere alcuna malvagità in lui, infatti non si può far a meno di parteggiare silentemente per Shylock, poiché la superficialità e la vacuità di quella combriccola di amici al bar (Solanio-Ivan Zerbinati, Salerio-Roberto Turchetta) e del tutt’intorno appaiono ben più pregnanti. Non è il sogno d’amore che spinge Bassanio ad intraprendere il viaggio da Venezia a Belmonte, ma l’eredità di Porzia, una viziata quanto astuta fanciulla legata da un voto paterno nella scelta del suo sposo, e neppure il corteggiamento di Graziano (Simone Luglio) nei confronti di Nerissa (Milvia Marigliano), fida ancella della giovane signora, sembra esser avulso da pretese venali. Antonio poi, il buon mercante che presta soldi senza chiedere interesse e che ha aiutato il compagno nell’impresa a rischio della sua stessa vita, non  riesce a creare empatia. Nel “mondo, quel palcoscenico dove ognuno recita la sua parte” e a lui “è capitata quella del triste” appare come vittima fin troppo arrogante e pretenziosa, carattere che trova la sua manifesta espletazione nella fine, dove evidente è il ribaltamento dei ruoli e delle reciproche posizioni tra lui e il suo aguzzino Shylock.

Fonte foto ufficio stampa

Fonte foto ufficio stampa

Il denaro, motore della vicenda, attira e ipnotizza, col suo sfavillante colore, tutti, (a ricordarcelo è il pannello dorato, quasi un enorme lingotto, su cui riflettono gli attori, nelle scene di Carlo De Marino) in un continuo capovolgimento delle parti che si pone d’indagare le zone d’ombre di quell’umanità. Tutti sono carnefici degli altri e di se stessi, in balia dell’opportunismo a cui la bramosia per quel metallo prezioso li conduce.

Il raddoppiamento e l’amplificazione dei tormenti e dei dubbi di ognuno è reso nei ruoli, anche minori che assumono una rilevanza decisiva all’interno dello svolgimento della vicenda, così come Lancillotto (Sergio Romano) il servo, prima di Shylock e poi di Jessica, che, seppur per convenienza, si ribella alle vessazioni di un padrone autoritario, mostrando quel che è un labile brandello di coscienza.

È nell’applicazione della legge, per sua natura supra partes che la malinconia, le inquietudini, la rabbia e la frustrazione degli uomini vogliono trovare giustizia. È in essa quindi che si rifugia Shylock, ormai soprattutto un padre ferito, affranto, talmente distrutto e disperato che non anela più la rivalsa con foga, ma per “capriccio” cercando di far valere il potere del giuramento firmato da Antonio. Ed è  proprio nella giustizia per uno straniero che egli trova la sua ultima e più grande delusione. Perdendo ogni bene è costretto a piegarsi alle regole di una società che viola la sua dignità, facendosi beffe di lui e deridendolo attraverso l’astuzia e la furberia di un cavillo giuridico, e annulla la sua identità di essere diverso. Un giuramento davanti al notaio, davanti a Dio o in nome dell’amore vale la durata che s’impiega per trovare il modo di eluderlo, è questa la tragedia che si consuma nella più ambigua delle commedie di Shakespeare e nella realtà.

La disciplinata regia di Valerio Binasco aiuta a chiarire le molte letture dell’opera, grazie al rigore con cui dirige lo spettacolo, a cui sono sottesi un’onnipresente dicotomia simultanea e un evidente dualismo strutturale. E lo fa attraverso il gioco del teatro e la leggerezza, servendosi anche di tecniche mutuate dal cinema quali il flashback e lo slow motion che cristallizza il finale-festa, in cui il brindisi, servito dal cameriere (e giudice-Fabrizio Contri) sancisce la ciclicità metateatrale della  storia che si ripeterà ogni sera, sempre uguale e sempre differente, sul palco come nella vita.

Antonella D’Arco

Teatro Bellini:
Via Conte di Ruvo, 14-80135 – Napoli (NA)
Tel: 081.5491266
Botteghino: botteghino@teatrobellini.it – 081.5499688
Orari spettacoli:
Giovedì 13 ore 21.00
Venerdì 14 ore 21.00
Sabato 15 ore 17.30 -21.00
Domenica 16 ore 17.30

Print Friendly

Manlio Boutique