Baricco: sul tempo o dell’inseguir se stessi
Un gremito Teatro Nuovo ha accolto l’ultima lezione del celebre autore Alessandro Baricco nell’ambito del progetto “Palladium Lectures” curato dal regista Roberto Tarasco.
L’idea di fare del teatro non già il luogo della rappresentazione drammatica, ma quello della lezione – intesa nel più classico dei sensi possibili – di storia, filosofia o letteratura rappresenta certamente un azzardo e quasi un rischio: in tal modo, difatti, la scena snatura se stessa, rinunciando a frapporre tra sé e gli spettatori i filtri della messinscena, dei costumi, della finzione drammatica che le sono propri per trasformarsi in uno spazio di comunicazione piana, discorsiva e, in un certo senso, didascalica, ed impedendo alla platea ogni via verso la catarsi.
Ma, a ben vedere, si tratta di un rischio calcolato, soprattutto se – come nel caso presente – un tale progetto viene posto in essere da una delle penne più popolari d’Italia, quell’Alessandro Baricco capace di attrarre a sé un pubblico vasto ed eterogeneo e di guidarlo, passo per passo, un po’ più vicino alla conoscenza.
Seduto alla sua cattedra, il narratore Baricco comincia la sua ultima lezione; il tema scelto, affascinante e un po’ destabilizzante, è il tempo.
La sua non vuol certo essere un’analisi ontologica, volta a comprenderne il valore assoluto; la strada da seguire è quella del tempo inteso come spazio dell’essere, all’interno del quale ci si smarrisce, ci si perde, ci si ritrova; il tempo come strumento della vita, per comprendere il quale occorre servirsi di alcuni esempi.
Nei giorni in cui, nel 1791, si consumò la fuga di Luigi XVI da Parigi – ovvero l’atto che, più dirompente della stessa presa della Bastiglia, fece crollare il sistema di valori allora vigente – le notizie dell’accaduto camminarono lentamente fino alle estreme propaggini del paese; mentre intere zone della Francia, ormai a conoscenza dei fatti, furono sprofondate nel caos, gli abitanti più periferici rispetto a Parigi vissero per 5 giorni nella convinzione che tutto procedesse come da norma.Un simile fenomeno può essere riscontrato negli ultimi giorni di vita di Lev Tolstoj; allo spirare del vegliardo russo presso la piccola stazione ferroviaria di Astapovo, la notizia si diffuse come un onda sui numerosi conterranei accorsi nelle immediate vicinanze della stazione presso la quale egli era alloggiato. La voce della morte si rincorse in maniera febbrile – e con essa la conoscenza – raggiungendo alcuni, poi altri, poi altri ancora, in un crescendo fuori tempo.
Questi specimina ben significano un messaggio di fondo: nessuno percepisce costantemente il tempo in cui vive; ciascuno avverte gli eventi che gli occorrono come prematuri o tardivi e quasi mai collocati nel punto esatto in cui li si potrebbe desiderare.
Si tratta, secondo lo scrittore torinese, del “sentimento della dissintonia del tempo”: quello scarto durante il quale tutto è già cambiato, ma non per noi; quel lasso in cui non c’è accordo tra il tempo interno dell’uomo e quello esterno della società. È il fuori tempo.
Nessun rimedio naturale al caos dell’esistenza; la sola medicina è l’arte – e in special modo l’arte del narrare -, che è creazione perfetta, all’interno della quale all’artista riesce il gioco di prestigio di amministrare il tempo a proprio piacimento, in una pagina, in una periodo, in una parola. Il solo ricovero è la falsificazione del vero nelle sue forme sublimate, tra cui spicca l’amore, secondo un principio che rimanda almeno ad Omero.
La sola via di fuga è nel tempo: occorre che questo sia colmato d’ordine, quantunque fittizio, che sia riempito di bellezza, che sia sfruttato nel tentativo di riconoscersi nell’attimo giusto, unico, ineludibile. Che neghi se stesso per dare spazio alla vita. Che viva lui stesso con l’umana vita.
Antonio Stornaiuolo
Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16- 80134 Napoli
Info e prenotazioni: 081 497 62 67 – botteghino@teatronuovonapoli.it
Orario degli spettacoli: ore 21.00 (feriali), ore 18.30 (domenica)