Favino è “Servo per due”
“Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni si veste di comicità e interagisce col pubblico per uno scopo che è tutt’altro da ridere. Abbiamo intervistato l’autore, regista e interprete Pierfrancesco Favino: ecco cosa ci ha detto.
Riavvicinare il pubblico al teatro e farlo senza troppe pretese, coinvolgere la platea in un viaggio all’interno della commedia italiana per regalare momenti di serenità e spensieratezza: questi gli intenti che Pierfrancesco Favino ci spiega in un’intervista prima del debutto di Servo per due sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia, palco su cui per la prima volta l’attore romano sale per esibirsi. In scena nel capoluogo umbro fino a domenica scorsa, 16 novembre, la commedia, in programma per la Stagione di prosa del Teatro Stabile dell’Umbria, è tratta da Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni (1745) e passa dall’adattamento del noto commediografo inglese Richard Bean al testo di Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli (entrambi anche nel ruolo di registi) Marit Nissen e Simonetta Solder, scritto con il preciso scopo di indurre il pubblico a pensare che il Teatro deve essere sentito come casa propria.
«In tutte le città di Italia – asserisce l’attore romano, vincitore del Premio Le Maschere 2014 proprio per il personaggio che interpreta nello spettacolo – c’è un teatro, anche nei paesi più dimenticati ce n’è uno. Cosa vuol dire? Non è solo perché all’epoca non esisteva la televisione. È una comunità che dice che quel posto lì, come nell’antica Grecia, rappresenta la vita comune. Le chiavi di quel posto sono degli abitanti. Noi siamo ospiti, non il contrario.» A dimostrazione di ciò, gli attori compongono un mosaico che alterna allegra e dinamica recitazione, durante cui vengono usati idiomi locali e citati siti perugini, come se la storia, sebbene ambientata a Rimini, per un attimo entrasse nel capoluogo umbro, a momenti di metateatro in cui il pubblico diveniva performer lui stesso. Un teatro nel teatro sovente improvvisato, tanto da far perdere ad un tratto il filo del discorso al protagonista Pippo (Favino) e farlo scoppiare a ridere in mezzo al palco: l’attore simpaticamente si ferma e dialoga con la platea rendendola non solo complice del servo, ma uscendo dalla pièce, protagonista di una sorta di colloquio informale “tra amici”.
Lo spettacolo si colloca negli anni Trenta, e i motivi della scelta è lo stesso Favino a spiegarcelo: «Gli anni Trenta, aspetti politici a parte, ricoprono un arco di tempo in cui il “made in Italy” si è imposto nel mondo». E ancora: «Dal punto di vista dei costumi, dell’architettura e della musicalità, sono anni impressi nella mente degli italiani molto più di quanto si immagini». Alcuni momenti di cabaret e la colonna sonora eseguita dal vivo dall’Orchestra “Musica da Ripostiglio” testimoniano la veridicità del concetto, offrendo un continuo riscoprire di allegri motivetti dell’epoca più o meno sopiti nei ricordi degli spettatori.
Ma veniamo alla storia: Pippo (Pierfrancesco Favino) vaga per le strade di Rimini continuamente affamato («Avete qualcosa da mangiare?» continua a chiedere al pubblico) e in cerca di un modo per trovar soldi. Incontra Rocco (Fabrizia Sacchi) personaggio un po’ losco che si trova nella città emiliana per concludere un affare con Bartolo (Diego Ribon), padre della sua promessa sposa Clarice (Marina Remi). La dolce ma estremamente svampita fanciulla, credendo il fidanzato morto, è però innamorata e pronta alle nozze con lo stravagante attore Spiridione (Luciano Scarpa). Mentre tra questi personaggi si scatenano discussioni a non finire, Pippo trova un secondo padrone, Ludovico (Thomas Trabacchi) fidanzato di Rachele, sorella gemella di Rocco. Ma al pubblico sia ben chiaro, gemella si, ma come recita spesso il testo, i due “non possono essere uguali perché uno è un uomo e l’altra è una donna”. Oltre ad un ulteriore lavoro al servitore riesce anche il tempo di scoprir l’amore e inizia la sua conquista della bella, pratica e prosperosa Zaira (Anna Ferzetti). Equivoci e malintesi si susseguono sul palco, conditi dalle bugie inevitabili del buffo servo e dalla presenza di altri personaggi come l’amico Livio (Giampiero Judica), un tuttofare che passa dal vestire i panni di guardia a quelli di tassista (Gianluca Bazzoli), Iolanda (Marit Nissen, che gli spettatori avranno difficoltà ad individuare all’inizio e su cui non sveleremo di più non intendendo rovinare la sorpresa), Gennaro il maître di sala (Pierluigi Gicchetti) ed un incredibile cameriere, Alfredo, interpretato da Ugo Dighero, acclamato dal pubblico durante i saluti finali per la sua irrefrenabile comicità.
La squadra funziona al meglio, visto il palese affiatamento che vige fra tutti (nonostante il doppio cast esistente e di cui meglio potremo sapere ascoltando la videointervista qui), e pare che l’obiettivo di vedere i teatri pieni, in questa occasione, sia stata molto soddisfatta. Favino, del resto, durante la chiacchierata avuta con noi, ben ha sottolineato l’importanza di quest’arte che è espressione culturale fondamentale della nostra storia a tal punto che ben venga attirare il pubblico anche con qualcosa di più “leggero” se ciò serve alla causa. Lo spettatore non deve sedersi in platea come se accendesse la televisione o per abitudine o perché “fa moda” ma deve farlo per viverlo in pieno ed uscire soddisfatto dal teatro perché la messinscena lo ha coinvolto emotivamente. «Noi sappiamo ‒ dichiara l’attore romano ‒ che stiamo facendo qualcosa di facile. Non pensiamo che questa sia la rivoluzione culturale, però nell’intento lo è. In questi mesi, vedere come le persone si rilassavano e si lasciavano andare spensierate durante il nostro spettacolo, mi ha fatto capire che avevamo catturato la loro attenzione, che aveva un significato il loro stare lì. Ci vuole rispetto per il pubblico.»
Il Teatro è un’arte composta da moltissime sfaccettature, alcune possono essere di natura amena altre più riflessive, quindi ci viene spontaneo credere che forse questo non sarà un inizio di rivoluzione, come appunto ci ha detto Pierfrancesco Favino, ma se la commedia, a volte dimenticata in un angolo dalle nuove generazioni, può essere un modo per far affezionare nuovi spettatori al Teatro, allora ben venga rimanere seduti a godersi uno spettacolo – come in questa occasione – che, senza morali implicite o esplicite, offra esclusivamente l’opportunità di staccare la spina dalla vita quotidiana. In fin dei conti non è quello che cercano un po’ tutti, in un modo o in un altro, sedendosi fra il pubblico in platea?
Francesca Cecchini
Teatro Morlacchi
piazza Morlacchi 13 – Perugia
Contatti: http://www.teatrostabile.umbria.it/