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Paolo Cresta porta a Il Pozzo e Il Pendolo i racconti fantasmagorici del Barone di Münchhausen, in una messinscena che è una continua altalena tra verità e bugia. 

Fonte foto ufficio stampa

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Dal 22 novembre, ogni sabato e domenica, fino all’8 dicembre, Il Pozzo e Il Pendolo presenta lo spettacolo di Paolo Cresta, liberamente ispirato al Barone Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen.
Si tratta di un personaggio storico realmente esistito che visse nel diciottesimo secolo (1720-1797), un militare che combatté nella guerra dell’ Impero Ottomano e che, una volta ritiratosi, divenne uomo d’affari e abile cacciatore. Gran parte del fascino che avvolge la sua persona risiede nel fatto che ad alimentare le gesta fantastiche sul suo conto, fu il Barone medesimo, tanto da ispirare, sin dal ‘700, l’estro di molti scrittori che cominciarono a raccogliere i racconti del nobile e a trasformare la sua vita in una letteratura amata soprattutto dai ragazzi.

L’adattamento di Paolo Cresta è pronto ad evidenziare l’importanza che ricopre la narrazione, in questo caso, nel tramandare una storia personale che però diviene collettiva nella sua morale: l’aspirazione a realizzare una favola, ambizione che appartiene a tutti gli uomini.
Sullo sfondo di un pannello di cartone sul quale è dipinto il palazzo di un sultano, tra due alti candelabri e una poltrona, i protagonisti in costume si muovono su una scena artificiata che dichiara essa stessa, quasi da subito, l’intenzione degli interpreti di esser semplici teatranti che vogliono metter su una recita.
Sottilmente a ricordare la nostra commedia dell’arte, il servitore, un arguto e divertente Antonio Perna, con un recitar cantando, c’introduce nella vicenda e apre il sipario, dietro al quale ad attenderlo c’è la madama-prima donna della compagnia, Lucia Rocco. Il quadro che vede la dama affranta dal dolore, perché in attesa del ritorno del suo amato, prigioniero in un castello, e il servo, nel tentativo di consolarla, è arrestato dall’ingresso del Barone di Münchhausen, Andrea De Rosa, che giunge in quella dimora in cerca di ospitalità. Ecco, cominciano le mirabolanti avventure dell’impavido Barone il quale, fiero e con foga, intavola il monologo delle sue imprese più coraggiose. Ma d’improvviso un’altra interruzione sospende il flusso narrativo, si sente borbottare in sala, la platea si volta e davanti ai suoi occhi appare Nico Ciliberti, che veste i panni del vero Barone di Münchhausen, “in carne, ossa, spirito e sagacia”. Infastidito per quelle menzogne, proprio lui, un Pinocchio d’altri tempi, interviene ad aggiustare il tiro su quanto si sta dicendo ed, invitato dal pubblico, sale sul palco per esporre una versione corretta e veritiera dei fatti che lo riguardano.
Il disvelamento è avvenuto e il racconto prosegue, tra l’adulazione dei due attori e l’indispettirsi della prima attrice, tra battute e controscena, che fanno ridere gli spettatori. Ma sin dalle prime parole dell’illustre fantasma, la sua identità confonde e sembra confondersi, quale presagio del finale in cui a dominare è la sola verità oggettiva: la realtà.

Fonte foto ufficio stampa

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Il gioco inscenato dà spunto ad una riflessione che accoglie diverse e molteplici sfumature. È la contrapposizione tra la verità e la bugia, quest’ultima intesa come fantasia, quale premessa per la creazione artistica, l’idea vincente della regia. L’immaginifico, prima descritto e poi rappresentato, non è finzione, neanche per l’attore in teatro, pronto a servire sempre la verità nell’accezione più autentica ed astratta del termine. E nella pièce questa volontà è tradotta nella capacità di sognare, assopita negli adulti, manifesta nei bambini, ma uguale in ognuno di noi.
Nella messinscena però si è avvertita qualche sofferenza nella scrittura. Essa non è apparsa sempre fluida ed omogenea nella costruzione dei ruoli e del rapporto tra i personaggi. Inoltre una troppo dichiarata anticipazione, in certi momenti, di ciò che sarebbe accaduto o potuto accadere, e l’alternarsi fra meccanismi ripetuti e quindi dilungati e frazioni troppi brevi, non hanno giovato all’equilibrio tra il detto e il semplicemente evocato, che invece avrebbe mantenuto costante e maggiormente viva la tensione e l’attenzione negli astanti.

Antonella D’Arco

Il Pozzo e Il Pendolo
Piazza San Domenico Maggiore, 3 – Napoli
Info e prenotazioni: 081 5422088 – 347 4287910
email: info@ilpozzoeilpendolo.it
Orario-spettacoli: sabato ore 21.00 – domenica ore 18.30

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