Matthew Bourne’s Swan Lake
Il più famoso balletto classico, il Lago dei cigni, si trasforma in pièce teatrale dal respiro contemporaneo in cui magia, emozioni e ironia si fondono dando vita ad uno spettacolo coinvolgente ed emozionante.
Il Teatro degli Arcimboldi accoglie lo sbalorditivo Matthew Bourne’s Swan Lake, andato in scena dal 13 al 23 novembre 2014, deliziando occhi e mente di una platea internazionale.
Un pubblico di diverse estrazioni sociali, che parla lingue differenti e che si distingue per età disuguali prende posto di fronte ad un pannello su cui, enorme, si scaglia il disegno sfumato di un cigno scurissimo. Da qui, inizierà lo stupore.
Matthew Bourne – si sa – è un uomo, o meglio, un artista miracoloso. Rimane stupefacente quanto, dal lontano 1995, riesca ancora a far innamorare chiunque della sua opera, essendo capace – insieme al suo meraviglioso corpo di ballerini/attori – di diffondere nell’animo dello spettatore un sentimento di incredibile coinvolgimento alla vicenda che, senza l’uso di dialoghi, colpisce più di quanto si possa immaginare. In grado di mettere in scena, ancora una volta, un autentico trionfo di bravura, di sensualità, di originalità, fa sì che il rapimento dei sensi compiuto dai danzatori a benefico danno del pubblico rimanga quanto di più travolgente si possa mai vivere a teatro.
Il principe, che incarna la debolezza umana, è simbolo della fragilità estrema: in cerca di qualcuno da amare, respinto dalla risolutissima consorte impermeabile a qualsiasi accenno di pietas, subirà il fascino di un’ingenuotta ragazza dai boccoli biondi e sbarazzini a cui darà un fugace bacio. Inseguendo costantemente la speranza di trovare la propria ragion d’essere in qualcuno che possa corrispondere al suo bisogni di affetto, il principe trascorrerà momenti di sconforto, gioia, afflizione e si lascerà ammaliare dalle creature più misteriose del lago: i cigni. Elegantissimi nei loro movimenti, lo sedurranno fino al punto in cui il più bianco e puro fra tutti danzerà con lui il ballo della vita e, poi, della morte.
È attorno alla figura del principe, più che del cigno bianco/nero, che aleggia il significato di tutta l’opera: Siegfried rappresenta la giovinezza, la bellezza assoluta, l’ambiguità nel prendere le decisioni propria della nostra contemporaneità, l’urgenza di dover dipendere dagli altri piuttosto che da se stessi e, ancor più di tutto il resto, la fragilità della condizione umana. Lui ama. Ama senza riserve e condizioni: dapprima la moglie, poi la leggera fanciulletta che corteggia non peccando mai di indelicatezza, ed infine il cigno bianco, l’unico pronto a proteggerlo dalle miserie che lo circondano. Siegfried, però, deve attraversare il brutto della sua esistenza scontrandosi con la parte più minacciosa di sé e del mondo, il Cigno Nero, che proverà a rubargli e distruggere tutto ciò che gli rimane: il sonno (e quindi la tranquillità che solo la notte arreca sugli animi turbati), la fiducia negli altri e nell’amata, la corazza di difesa che ci creiamo contro i pericoli esterni e, inesorabilmente, la vita stessa.
Il balletto racconta tutto questo e molto, infinitamente molto altro: spiega con chiarezza fino a che punto dentro ognuno di noi possa albergare il cigno nero, facile spirito contraddittorio e negazionista di qualsiasi buona azione; esalta la potenza del visivo proprio del movimento corporeo sulla componente auditiva data dal parlato; abbina coerentemente la partitura originale di Čajkovskij ad ogni singolo pas de danse dei ballerini che, con la loro maestria, toccano generi completamente opposti; rivela quanto grande può essere il genio di Matthew Bourne alle prese con una rivisitazione così avveduta della classica storia che noi tutti conosciamo, alla quale sostituisce una visione decisamente più moderna di ciò che possono raffigurare, rispettivamente, tutti i personaggi della pièce. Infatti, benché la rivisitazione sia così audace ed innovativa – proponendo, tra l’altro, un ensamble di cigni interamente declinati al maschile – coglie perfettamente lo spirito di magia e al contempo di disperazione che aleggia nella trama de Il lago dei cigni tradizionale.
Dal punto di vista scenografico e costumistico, la supremazia del bianco e nero si sposa impeccabilmente con gli universi che si scontrano e che regalano allo spettatore un contesto incantato, costantemente riproposto in ogni atto e mai disatteso.
Esemplari, tra tutte, le scene di quando il principe Siegfried viene rinchiuso in manicomio (in cui le ombre delle figure che annientano definitivamente la sua persona crescono in termini di grandezza a seconda di quanto danno stiano cagionando al protagonista, ormai indifeso), il passaggio in cui il Cigno Nero ammalia tutte le donne presenti alla festa (in cui le ballerine si esibiscono in passi a due di formidabile destrezza), e il momento in cui, sul finale, il Cigno Bianco prova, con le sue ultime forze, a preservare la vita del suo amato opponendosi alla sua stessa famiglia di piumati.
Dunque, è certamente questo il classico e fortunato esempio per cui qualsiasi cifra si possa aver speso per assicurarsi un posto in sala, al termine se ne uscirà sapendo di aver capitalizzato al meglio il proprio denaro grazie al valore impagabile, in termini di investimento personale, dello spettacolo.
Del resto, quando si ha la fortuna di assistere ad un balletto di così alto livello stilistico e coreografico è impossibile non rimanere estasiati, soddisfatti, appagati, ammutoliti. Finanche commossi.
E se ciò è possibile è merito della grazia artistica di Matthew, della sua famiglia di danzatori e, soprattutto, delle emozioni che il loro talento e la loro classe hanno saputo suscitare nel pubblico, generoso ancora di applausi e di riconoscimenti dopo quasi un ventennio dal debutto, a riflettere il messaggio per cui tutti – se vogliamo – possiamo, con la fantasia, volteggiare dalle braccia di un Cigno Bianco a quelle di un Cigno Nero per conquistare il nostro posto tra loro.
Erika Sdravato
Teatro Arcimboldi
Viale dell’Innovazione 20 – Milano
www.teatroarcimboldi.it/