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Il racconto dark di Henry James va in scena per la rassegna Il Teatro cerca casa, in un suggestivo adattamento che sfrutta appieno le potenzialità dell’osmosi tra palco e platea.

Foto Carmine Luino

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Ospitato nel salotto di Manlio Santanelli, ideatore della rassegna Il Teatro cerca casa, lo spettacolo Giro di vite, adattamento di Luca De Bei del noto testo di Henry James, andato in scena lo scrorso primo dicembre, ha catturato e inquietato la numerosa platea che si è lasciata trascinare dalla mefistofelica messinscena. Il testo di James, scrittore statunitense a cavallo tra Otto e Novecento, tra i maggiori autori di narrativa sui fantasmi, è peculiare soprattutto considerando che nei suoi racconti creature sovrannaturali non si dedicano ad urla o sferragliature di catene, ma si manifestano sempre come un’inquietante propaggine della vita reale. Per quanto la storia, proprio per il suo essere un classico del genere, può, ad un’analisi poco attenta, risultare scontata e ricca di cliché, il modo di trattare l’argomento da parte del drammaturgo è molto distante dagli stereotipi convenzionali. Difatti l’utilizzo del soprannaturale e del fantasmagorico da parte di James è, piuttosto, un pretesto per esternare le brutture di una realtà quotidiana portata all’esasperazione.
In linea con ciò, Giro di vite è incentrato su una giovane educatrice londinese, dedita alla formazione di due bambini in una solitaria dimora, vittima di spettrali apparizioni e possessioni. Ma, a differenza del testo dello scrittore americano, questi tragici quanto inquietanti eventi, che non accadono contestualmente sulla scena, sono qui rievocati non dalla lettura dei diari dell’educatrice da parte di un certo Douglas, bensì dall’educatrice stessa nel momento preciso in cui li scrive. Questa forte scelta drammaturgica effettuata da De Bei cambia radicalmente la percezione del racconto da parte del pubblico: la dinamicità che scaturisce dal flusso di coscienza della protagonista vivifica la vicenda rendendo lo spettatore estremamente partecipe delle angosce e palpitazioni della donna. Intensa la recitazione dell’unica interprete, Margherita Di Rauso, che, in ossequio alle modalità di fruizione di uno spettacolo nell’ambito de Il Teatro cerca casa, si cimenta in una lettura recitata del testo.

La Di Rauso da un lato interpreta le pagine del diario dell’educatrice senza separarsi mai dal testo scritto, dall’altro la sua performance si carica della recitazione corporea e convulsa che l’immedesima nella protagonista, così facendo convivere in lei sia l’immagine della narratrice sia quella dell’istitutrice di James. Efficace la sua capacità di mantenere alta la tensione grazie ad una convincente prova attoriale, corredata da un incalzante pathos nella cadenza della voce e da una concitata gestualità.

Non trascurato il costume di scena che ricorda un abito d’inizio secolo, sobrio e mai scomposto, che crea un vibrante contrasto tra l’apparenza morigerata e impassibile della protagonista, riflesso della sua serietà prima degli accadimenti nefasti a cui assiste, e il suo stato emotivo quasi delirante e fuori di senno, specchio della metamorfosi interiore subita.
Unico elemento di supporto al testo e alla recitazione è il perturbante accompagnamento musicale, che a tratti affianca l’attrice: una musica angosciante che incute timore e preoccupazione nei momenti più inquietanti della messinscena. Il delicato dialogo tra narrazione e musica risulta capace di liberare immagini e suggestioni negli occhi e nelle menti della platea.

L’assolo ambientato da testo in una casa, la cui protagonista è seduta ad uno scrittoio, è ben restituito all’interno del salotto privato che lo accoglie, e supera abbastanza efficacemente la mancanza di scenografie non inficiando la riproposizione di una tranche de vie che ben risulta sposarsi, pertanto,  con le prerogative della rassegna santanellina.
Termometro della riuscita della messinscena è stata la reazione del pubblico, che trascinato dal racconto si è interrogato sulla veridicità o finzione dei fatti narrati, dimostrando che le intenzioni della scrittura di James sono state ottimamente restituite. A porre fine al dibattito è intervenuto lo stesso Manlio Santanelli, spiegando come la scrittura del drammaturgo statunitense sia «un rito che si celebra su un altare di un Dio [la verità] che non c’è più o non c’è mai stato».

Alessia Santamaria

Il Teatro Cerca Casa
Sito:http://ilteatrocercacasa.it/site/
Info: info@ilteatrocercacasa.it

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