Zombitudine
La compagnia Frosini/Timpano mette in scena l’attesa incerta di qualcosa che potrebbe essere o non essere, rappresentando l’uomo confuso, specchio delle paure e dei dubbi della società.
“Sedetevi per favore. Non fare rumore. Comincia tutto sotto, sotto a qualcosa. Comincia tutto dentro, dentro, dentro. Qui sotto non ci troverà nessuno”. Si apre con queste parole Zombitudine lo spettacolo della Compagnia Frosini/Timpano, di e con Elvira Frosini e Daniele Timpano – coppia di teatro e di vita – andato in scena, per la prima volta in Umbria, alla Sala Cutu di Perugia domenica, 30 novembre, per la rassegna “Indizi” a cura di Teatro di Sacco. Dove siamo dunque? Si, siamo, perché un sipario calato e chiuso a meno di un metro dalla platea fa capire subito che il pubblico non sarà un semplice spettatore bensì “complice” ed attore della performance. Un nascondiglio, un teatro, l’unico posto dove nessuno “potrà venire a prenderci” e farci del male… forse. Di cosa dobbiamo avere paura? “Ci siamo rifugiati insieme al pubblico in un teatro – ci dice la Frosini durante un’intervista – perché sta avvenendo qualcosa di grave fuori. C’è un’invasione di qualcuno, di qualcosa e temiamo. Siamo però anche speranzosi durante lo spettacolo. Ci ritroviamo a sperare che qualcosa venga ad interrompere questo nulla in cui siamo”. E infatti, durante la performance, questo “qualcosa o qualcuno” che fuori si muove, sarà il filo conduttore che a momenti intimorirà gli attori (muovendosi con sguardo fisso e circospetto, si rivolgeranno agli “aspettatori” e alle “aspettatrici” domandando spesso “Avete sentito?” e chiedendo collaborazione “Non fare rumore per favore, state in silenzio”), in altri verrà sentito quasi come un atteso momento di liberazione (“Magari sono migliori di noi”) e, ancora, si andrà a trasformare in alleato a cui appoggiarsi (“Poveracci, si sono persi come noi”) e a cui unirsi (“Hanno tutto quello che noi non abbiamo”). Non semplice districarsi tra i sentimenti che di volta in volta si avvertono sul palco. Sensazione che probabilmente va a rispecchiare ciò che si vive nella realtà quotidiana quando, accomodati nella poltrona dell’incertezza, non si riesce a prendere una posizione, a compiere una scelta definitiva. Timpano ci aveva premesso che, tra le chiavi di lettura del suo spettacolo, avremmo potuto captare quella che vede proiettata in scena la frustrazione di una generazione – quella dei 30-40 anni – che si vede costretta “tra l’emergenza di un evento imminente e devastante e una quotidianità claustrofobica. Si fa fatica a riconoscere il pericolo o la salvezza: la vita da assediati è divenuta normalità”.
Si accomodano i due protagonisti, ora in un angolo, ora su una valigia che racchiude tutto il necessaire per questa vita senza pretese e riescono a trovare soluzioni solo a breve termine (mangiare, bere, dormire, tutto tranne riuscire a gustare un buon caffè) pur di evitare il momento importante della reazione a questa condizione di stasi. Troppo abituati (come la società odierna appunto) a crogiolarsi nell’impotenza piuttosto che alzarsi in piedi con coraggio e prendere in mano la propria vita. Unica condizione che potrebbe risvegliare i due personaggi anonimi sul palco (anonimia che sottolinea che ognuno di noi è lì rappresentato) dal torpore della vita quotidiana è infatti la speranza che chi sta dietro il sipario venga a scrollarli e a far di loro ciò che meglio crede. Un blocco della società in cui viviamo ben descritto, dunque, che centra in pieno il non riuscire ad emergere, il non riuscire a compiere una scelta, la conseguente paura della vita e, al contempo, della morte. “Morire dura per sempre. Non è mica normale essere morti”. Un timore che porta un po’ di personale nella pièce nella quale Timpano e Frosini riversano “un noi particolare all’interno di una situazione, di una dimensione, di una fase della nostra vita. Anche la paura della morte e il modo di affrontarla sono personali. Siamo dei personaggi, ma siamo anche noi”.
Nel momento in cui uno dei due sembra “perso per sempre” l’altro entra in uno stato di panico, terrorizzato dall’idea della solitudine ma anche intimorito dal cambiamento “E adesso? Sono sola. Se torna? E se non torna? È meglio se torna o se non torna?”. Fino alla fine, che sia positiva o negativa, questo solo ogni singolo spettatore potrà soggettivamente dirlo al termine, lui e lei (“io e te nel bene e nel male”) rimarranno però insieme, aiutandosi, facendosi forza a vicenda e dando forse così dimostrazione che in un clima di titubanza ed insicurezza, il sentimento, quello vero, che regge agli “intemperie” della vita, può essere l’unica certezza e sostegno al quale aggrapparsi. C’è dunque forse speranza che l’uomo riesca, grazie a ciò, come chiedono sovente i protagonisti, a “prendere una posizione”?
Lo sapremo, forse, solo nel momento in cui il sipario si apre e lì, davanti al “qualcosa” che arriva, se e quando arriva, potremo capire se essere succubi della paura o vincerla affrontando dubbi e timori e compiendo una scelta definitiva.
Prossimo appuntamento con Zombitudine 13 e 14 dicembre alle ore 21 presso il Teatro Spazio Bixio di Vicenza.
Francesca Cecchini
Sala Cutu – Teatro di Sacco
Piazza Giordano Bruno, 9, Perugia
Info: www.teatrodisacco.it – info@teatrodisacco.it – 331 667 2992