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Tratta dall’omonimo libro, Mauro Di Rosa porta al Nuovo Teatro Sanità la storia di due giovani che provano a cambiare il proprio destino con un idea “geniale” sfidando la crisi e la loro città. Ci riusciranno?

Fonte foto Ufficio stampa

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Quando Antonio Menna scrisse sul suo blog Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, forse non immaginava che da quel post sarebbe subito nato un caso telematico e quindi editoriale che lo avrebbe portato, di lì a qualche mese, a pubblicare un omonimo libro, sullo stesso, amarissimo soggetto: cosa sarebbe accaduto al fondatore della Apple se, per avventura, gli fosse capitato di nascere a Napoli, nei Quartieri Spagnoli? Una riflessione non priva di ironia che il giornalista e scrittore (nato a Potenza ma trapiantato fin da subito nel capoluogo partenopeo) partoriva all’indomani della dipartita di Jobs e che oggi, dopo 3 anni, è approdato anche sul palcoscenico del Nuovo Teatro Sanità grazie all’adattamento di Mauro Di Rosa, coprotagonista della pièce assieme ad Alessandro Errico, colui che è chiamato a rappresentare un geniale imprenditore partenopeo, controfigura ideale di Jobs e come lui deciso ad affermarsi nel mondo dell’informatica grazie alle proprie brillanti idee.
Lo scenario è quello della Napoli degli anni ’80, in cui Stè e Gè cercano di far sì che dalla propria passione per transistor e chip possa nascere qualcosa di più, nonostante le difficoltà legate ad un ambiente familiare che poco tollera tale tipo di interesse; tuttavia, quello del retroterra parentale è solo il primo dei mille ostacoli che si frapporranno tra i due giovani protagonisti e la realizzazione dei loro sogni. Le banche, i finanziamenti europei, l’inefficienza e la corruzione dei dipendenti pubblici, la prepotenza dei pubblici ufficiali, la vuota prosopopea dei politici ed, infine, il parassitismo camorrista: sono questi, in sequenza, i “mostri” che Stè e Gè dovranno affrontare, prima di arrendersi all’impossibilità di “sfondare” in una realtà come quella napoletana.

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I principali punti di forza dello spettacolo sono, in effetti, quelli che caratterizzavano l’opera letteraria di Menna: lo spigliato racconto delle imprese dei protagonisti appare credibile ed “incredibile” allo stesso tempo, giocando su stereotipi dell’ambiente partenopeo che lo spettatore non può non sentire come realistici; la regia (di Pasquale Ioffredo, anche interprete) non segue le vicende in maniera asettica ma fa sentire il proprio punto di vista grazie all’intervento del coro, mentre i movimenti scenici risultano interessanti e ben congegnati. Convincenti anche gli altri aspetti tecnici, tra la scenografia che tenta di ricreare il clima di una città schizofrenica, perennemente in bilico tra genio e follia, e le musiche originali di Eddy Napoli, capaci di dare slancio ai momenti di maggiore tensione.

Le note dolenti, tuttavia, non mancano, e sono da ricercare in particolare nelle interpretazioni, a volte apparse ingenue e prive di personalità; se, infatti, Loffredo riesce a cavarsela da istrione anche nel mettere in scena macchiette e mestieranti dell’ambiente metropolitano, altre performance disarmano per piattezza e approssimazione.  Poco ispirati anche gli intermezzi riservati ad una comicità di grana grossa che mal si addice al complessivo senso dello spettacolo. La ricerca della risata facile rallegra lo spettatore non avvezzo e disorienta quello meno sprovveduto e, in definitiva, pesa nel giudizio finale di quello che risulta comunque un piacevole divertissement, con ottimi spunti di riflessione e tante buone intenzioni: si esce dalla sala interrogandosi sulla realtà in cui si vive, capace di appiattire anche le menti e le idee migliori, in un continuo “homo homini lupus” dove a restare indietro sono i meno furbi e coloro che tentano di non piegarsi al “sistema”.
Di questi tempi, è già tanto per applaudire, nonostante tutto.

Antonio Indolfi

Nuovo Teatro Sanita’
piazzetta San Vincenzo 1, Napoli
Info: www.nuovoteatrosanita.it –  339 666 6426

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