“La Monaca di Monza” di Giovanni Testori
Al Teatro Elicantropo, fino a domenica 21 dicembre, fede e peccato, ribellione e pentimento prendono vita nel personaggio amato da Manzoni così raccontando il calvario di donna costretta alla monacazione dalla sua stessa famiglia.
Lo spettacolo La Monaca di Monza, dal testo di Giovanni Testori, ha debuttato al Teatro Elicantropo giovedì 18 dicembre, con repliche fino a domenica 21, presentato dalla compagnia (S)blocco5.
La regia di Yvonne Capece e Walter Cerrotta, anche interpreti della messinscena, si dimostra attenta, studiata e concreta nell’allestire il testo scelto accuratamente per le sue peculiarità ed implicazioni letterarie e morali. Come spiegano i due interpreti, grazie all’incontro con Alain Toubas, erede e compagno di Testori e, è nato il progetto che ha dato vita allo spettacolo, nel quale i due giovani registi hanno armoniosamente fatto confluire, rielaborando il testo, Manzoni e lo stesso Testori.
Difatti ciò che felicemente stupisce e si evidenzia nelle scelte registiche è l’utilizzo di una lingua italiana colta ed aulica, che emana in ogni sua parola una forza catalizzatrice di attenzioni e forgiatrice di emozioni, rendendo oltremodo vitale la recitazione. La vita di suor Virginia Maria è così evocata e ricostruita attraverso memorie che si accumulano e visioni che si intrecciano, in un ambiente onirico e perturbante: un’inquietudine che restituisce superbamente le denunce del testo e dello scavo introspettivo della protagonista. Forte di una drammaturgia più che convincente, la recitazione di Capece e Cerrotta è altrettanto solenne, si svincola da un realismo quotidiano per esprimersi e muoversi sulla scena liricamente: movenze, espressioni, timbri vocali sono tutti studiati per restituire un’immagine altisonante e sacrale, in perfetta sintonia con l’atmosfera onirica che si vuole dare all’opera. I due attori non sembrano presenze fisiche sulla scena, ma apparizioni che provengono da una dimensione “altra” e la recitazione è studiata tutta sull’effetto estetico che genera, per costruire un’immagine fotografica, o addirittura pittorica della messinscena: un tableau vivant dal ritmo grave e ieratico.
A supportare l’idea registica di creare dinnanzi gli occhi della platea una sorta di quadro immaginifico, concorrono soprattutto la scenografia ideata da Lorenzo Giossi e il disegno luci di Anna Merlo. Il lavoro di Giossi, in perfetta sintonia con il disegno della regia, è l’elemento più forte e riuscito dell’intero spettacolo: l’intento di mettere in scena la storia di suor Virginia come intravista da una dimensione non terrena, fatta di presenze più che di protagonisti, non sarebbe stata restituita così chiaramente senza le splendide intuizioni dello scenografo. Il palcoscenico e la platea dell’Elicantropo scompaiono sepolte da una coltre di nebbia e di incenso che vivificano la sensazione di trovarsi altrove, in un luogo non riconoscibile e vicini a presenze che appaiono e si dissolvono nella foschia. Inoltre Giossi propone sul palco pochi e poveri elementi che divengono però presenze fisiche imprescindibili per la recitazione ed amplificano ogni movimento attoriale, caricandolo di simbolismi. E nello smarrimento della foschia che invade ogni cosa, sono le luci della Merlo a scandire il protagonismo di un elemento o di un attore, con getti luminosi mai evanescenti ma sempre decisi e intensi, capaci di squarciare e abbagliare angoli remoti della scena.
L’accuratezza della messinscena si manifesta anche nello studio di un costume di scena pregno di significato e in un riuscitissimo effetto audio. L’abito della suora è come un’impalcatura, che grava sul corpo del personaggio opprimendolo e che richiama, nella forma triangolare, la facciata di una cattedrale, rappresentando in pieno il peso dell’istituzione religiosa, che schiaccia il singolo e di cui la monaca di Monza è portavoce e strumento. Inoltre, l’utilizzo che la Capece ne fa durante la recitazione ne enfatizza i movimenti e la blocca in immagini sontuose che riecheggiano, non a caso, opere di grandi artisti, tra tutte l’Estasi di Santa Teresa d’Avila nella chiesa di S. Maria della Vittoria dello scultore secentesco Gian Lorenzo Bernini. E d’altronde, l’intero progetto scenico, accuratamente studiato e realizzato, sembra voler riproporre un’estetica barocca: le luci che aprono squarci nel buio come certi sfondati architettonici, la lingua artificiosa e arzigogolata, le movenze espressione di un linguaggio codificato e l’atmosfera mistica propria di una certa religiosità controriformista. Grazie a questo intelligente e profondo studio di ogni componente scenico, La monaca di Monza, storia ispirata ad una vera suora dei primi anni del Seicento, riesce con pochi mezzi a ricreare sul palco quel tempo ed i suoi fatti grandiosi e terribili.
Alessia Santamaria
Teatro Elicantropo
Vico Gerolomini 3, Napoli
Info e prenotazioni: 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio)
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