Verso l’Occidente l’Impero dirige il suo corso
Lo sguardo realistico e irriverente di David Foster Wallace illumina il Teatro dell’Orologio di Roma nella pungente messinscena della compagnia BluTeatro.
Sfogliare un testo di David Foster Wallace significa affrontare un’impegnata e non lineare prosa, ricca di argomentazioni e divagazioni, opaco e doloroso riflesso della civiltà contemporanea. Rendere tutto ciò spettacolo teatrale, senza vanificare quell’affilata leggerezza filosofica originaria, è l’audace sfida – vinta – che la compagnia BluTeatro lancia a se stessa e al pubblico del Teatro dell’Orologio (che, con la stessa, cura la produzione), con quasi un mese di repliche (dal 2 al 21 dicembre) di Verso l’Occidente l’Impero dirige il suo corso.
In una commistione di lingue – italiana e inglese – e linguaggi, calibrati con dialoghi e interazioni di una puntualità quasi meccanica, la trasposizione scenica diretta da Luca Bargagna, evita di adattare il racconto per rispettarne e ricalcarne il gesto letterario, lessicale e (meta)narrativo dello scrittore americano, in un flusso continuo e acuto di interscambio tra dialoghi diretti, io narranti, enunciazioni in terza persona, didascalie e note.
Dire tutto, dare voce al ghigno realista di cruda e dissacrante analisi socio-culturale che proviene, con risoluto sussurro, dalle pagine di Wallace: ecco il compito dei sei personaggi che, staccati dalla carta e ricoperti di vita, di respiro, di carne, animano il palcoscenico scarno (qualche sedia e due scheletri di ferro e legno per evocare un auto e uno spaventapasseri) durante il pretestuoso viaggio a ovest, verso l’Illinois, dove li attende la grande adunata di chiunque sia comparso in uno spot McDonald’s.
C’è Drew-Lynn (Valeria Almerighi), giovane, ambiziosa e magrissima poetessa postmoderna, di comico impatto – voce nasale, grandi occhiali antiestetici, capelli arruffati, e baricentro perennemente arretrato che dona un portamento non proprio elegante e femminile -, e suo marito Mark (lo stesso Bargagna), arciere dall’espressività placida, smarrita in una romantica e timida assenza. C’è J. D. Steelritter (Massimo Odierna), agente pubblicitario di successo – o almeno così appare –, nonché organizzatore della “riunione” di gatsbiana visionarietà, con fare sicuro e ammiccante alla Tony Montana di Scarface, e parlantina ipnotica da grande venditore o businessman con una certa inclinazione mafiosa. C’è suo figlio DeHeaven (Vincenzo D’Amato), vecchio adolescente di fisicità ciondolante – a ritmo di beat box e jingles musicali – senza sogni né aspirazioni, obbligato, sotto contratto, a essere il variopinto clown di McDonald’s. C’è Tom Sternberg (Luca Mascolo), nevrotico aspirante attore con sguardo introspettivo – ovvero, con occhio rivolto all’interno della testa –, concentrato (in abito bianco) di una tragica e claustrofobica modernità, pulsante di assurdi e inattesi sprazzi di “ordinaria follia”. E c’è Magda (Sara Putignano), hostess dal volto arancione, moderata e composta voce – o commento – narrante, contraltare dell’eccentrica e posticcia Nola (Viviana Altieri), impiegata Avis e dispersiva burocrate, con i “capelli a incudine”, e un sorriso stampato sul volto in una onnipresente paresi di sarcasmo.
Tra sorrisi coperti di tangibile drammaticità e riflessioni di amara ironia, lo spettatore osserva la coscienza di questi rappresentanti di una generazione perduta e perdente, sospesa in una temporalità astratta e infinita, come l’eterna manciata di miglia che li separa dall’arrivo. E proprio qui, in questo stallo narrativo, spalanchiamo gli occhi sulla spietata ruvidezza delle strategie commerciali e del consumismo spersonalizzante che regolano un mondo manipolatore di masse, dedito, oggi più che mai, alla trasformazione dei singoli in assuefatto mucchio di indistinti acquirenti e instancabili divoratori di desideri, di simboli, di marchi.
Nicole Jallin
Teatro dell’Orologio
Via dei Filippini, 17/a, Roma
Contatti: 06 687 5550 – www.teatroorologio.com/