Cuore nero
Una commistione di arti, dalla danza alla pittura, per raccontare l’amore difficile e travagliato di due uomini appartenenti al mondo della criminalità.
Se in uno spettacolo musica classica napoletana si alterna a danza contemporanea e tammorra, e da una riflessione sulla camorra si passa ad una su omosessualità e prostituzione, condendo il tutto con il ricorso ad una famosa pittrice per dipingere il corpo degli artisti in scena, il rischio di creare un pot-pourri informe e senza identità è altissimo. Ma Cuore nero di Fortunato Calvino, per la regia di Gerardo Gatta è proprio in questa direzione che osa, spinge sull’acceleratore e, infine, vince, conquistando anche lo spettatore più scettico con il profluvio di sensazioni che è in grado di sprigionare.
Fortunati gli spettatori che hanno potuto assistere, dal 18 al 21 di questo mese presso la Sala Assoli di Napoli, alla storia di Pietro e Tommaso, “manovalanza” della criminalità organizzata napoletana attratti da un’indicibile passione, intollerabile per il loro ambiente e che loro stessi cercano di respingere a lungo. Non possono ammettere il proprio legame al mondo, perché il loro mondo non comprenderebbe (ed, anzi, li eliminerebbe come scarti); e non possono ammetterlo nemmeno a loro stessi, pena la perdita di un’identità che, seppur maledetta, sentono cucita addosso.
L’unica a scalfire il velo di quest’apparenza infelice è Anna la Rossa, prostituta di lungo corso che si fregia del merito di aver “svezzato” entrambi alle gioie della carne; è la Rossa l’unica a vedere oltre, riconoscendo in loro i termini di un conflitto che in lei si perpetua da tempo, ossia quello tra il cliché in cui si sente immobilizzata e le pulsioni sotterranee dell’anima, che la porterebbero a vivere un’esistenza completamente diversa.
È l’identità il tòpos fondamentale di Cuore nero; un’identità, quella in cui essi vengono costantemente inquadrati, che sta addosso ai protagonisti come un vestito cucito male, nel quale vivere a disagio e senza prospettive; ed un’altra che prova, invece, ad uscire, quasi spaventata, dai sogni dei protagonisti e dagli sguardi che essi si scambiano, in maniera timida e furtiva. Il bisticcio tra eros ed ethos trova in Anna una prima soluzione grazie all’improvviso arrivo di un nuovo cliente (interpretato dallo stesso Gerardo Gatta) che le offrirà la possibilità di scappare dal vicolo cieco in cui si era infilata la propria vita (rappresentato, simbolicamente, dalla chiesa sconsacrata in cui si svolge l’intera opera). Ormai “liberata”, Anna proverà a convincere Pietro e Tommaso a seguire il cuore e non l’abitudine; ma per loro è troppo tardi, ed una fine tragica li attende all’angolo. Come novelli Romeo e Giulietta, i due vedono la società ed il fato opporsi fino a schiacciarli proprio quando erano ormai pronti a vivere la loro unione, finalmente senza compromessi.
Ciò che rende Cuore nero un grande spettacolo, oltre ad una drammaturgia convincente ed accurata, sono i particolari: lo humor nero che più volte affiora non è mai sguaiato, ma sempre perfettamente incasellato nel resto del racconto; la regia di Gerardo Gatta sfrutta al meglio luci e scenografia per rappresentare anche il “non detto” dei rapporti tra i protagonisti, mentre le suggestioni oniriche vengono disciolte in musica e tammorre. Nemmeno si potrebbe immaginare di tacere le efficaci prove attoriali di Lucio Piezzo e Antonio Clemente, nei panni di Pietro e Tommaso; men che meno lo splendido lavoro di Patrizia Masiello nella costruzione del personaggio di Anna la Rossa, alla quale offre voce, corpo ed anima.
Tutto questo, unito ad un’ulteriore serie di elementi capaci di offrire profondità e spessore al tutto (la body-art opera di Francesca Strino, la danza finale di Giorgia Pirozzi ed Annalisa Adiletta, la chitarra di Carlo Guarino), fanno sì che ci si trovi di fronte a quello che potrebbe essere considerato, senza paura di essere smentiti, tra i più interessanti spettacoli di questo 2014 teatrale napoletano. Segno che l’eccellenza si può raggiungere solo se si ha il coraggio di cercarla, accettando il rischio della caduta ma provando, al contempo, a spiccare il volo; così come riesce a fare, e mirabilmente, l’opera di cui qui si è scritto.
Antonio Indolfi
Sala Assoli
vico Lungo Teatro Nuovo, 110 – Napoli