Canto di Natale
Un racconto a due voci, quelle di Paolo Cresta e Carlo Lomanto, trasformano le celebri pagine di Charles Dickens nella più dolce delle suggestioni natalizie.
“Marley era morto, tanto per cominciare”. Così si apre il Canto di Natale in scena a Il Pozzo e il Pendolo, ormai appuntamento fisso della tradizione natalizia per la scena teatrale napoletana, giunto alla nona edizione ma ancora capace di gremire la sala tanto da restare in scena dal 22 dicembre al 4 gennaio dell’anno nuovo (con l’eccezione della notte di San Silvestro, quando il teatro di Piazza San Domenico sarà impegnato dalla consueta “Cena con delitto”).
Celebrazione pagana legata all’idolatria del Sol Invictus (“Sole mai vinto”) in epoca romana, il Natale è probabilmente la festività che meglio ha saputo tramutarsi col tempo, adattandosi ai nuovi culti ed alle nuove abitudini sociali (anche quelle consumistiche post-rivoluzione industriale), abbracciando ed inglobando antiche tradizioni per crearne di nuove. Quale sia il motivo per cui un periodo dell’anno così duro e impervio sia stato da sempre oggetto di venerazione e giubilo non è qui dato di discettare, ma ci si conceda quanto meno il beneficio della domanda. Il desiderio di rinascita, legato indissolubilmente alla volontà di vedere “oltre” l’asprezza di un inverno ormai al culmine, ha permeato tutte le culture ed è impossibile non sentirlo, nell’aria, pur se ovattato in atmosfere da Coca-Cola e regali all’Ipercoop.
Se qui ci si è concessi questa digressione (siate buoni, siamo pur sempre in periodo natalizio) non è per puro vezzo, ma per chiarire quale sia, a parere di chi scrive, il ruolo del Canto di Natale di Dickens: ossia un’opera capace, nella sua semplicità bambinesca, di riassumere ammirevolmente l’intero senso di una festività; questo grazie al suo buonismo, alla sua dolcezza ed al mettersi pienamente in contatto con quel desiderio di rinascita di cui sopra, raffigurandolo nei tratti spigolosi di Ebenezer Scrooge, personaggio nato già “classico” ed ancora oggi icona del “duro ma buono” che trova altro autorevole esponente in Paperon de’ Paperoni, non a caso anch’egli di nome “Scrooge” nella versione originale in lingua madre.
La storia è ben nota: Dickens, a corto di soldi, inventò una semplice storiella da poter raccontare nei salotti della Londra benestante, cogliendo l’occasione per denunciare i mali della società in cui viveva: analfabetismo, povertà, sfruttamento minorile erano tutti problemi che lo scrittore conosceva personalmente, avendoli toccati con mano durante l’infanzia.
Nella notte di Natale, l’usuraio Ebenezer Scrooge riceve la visita di tre spiriti (“del Natale passato”, “del Natale presente” e “del Natale futuro”) che lo porteranno ad un ravvedimento profondo sulle proprie malefatte, convincendolo a donare se stesso agli altri mettendo da parte avarizia e cupidigia; Dickens, da tipico vittoriano, escludeva ogni ipotesi di rivoluzione e lasciava che i mali del tempo fossero curati dalla buona volontà delle classi agiate, che prima o poi si sarebbero rese conto, come Scrooge, degli stenti in cui avevano lasciato il resto della popolazione – rappresentato dai poveri Bob Cratchit e Fred, nipote di Scrooge, che pure mai osano mettere in discussione il ruolo dell’avido, in una plastica rappresentazione della visione vittoriana del mondo.
Quello che a Il Pozzo e il Pendolo provano a fare da nove anni, in buona sostanza, è riprodurre l’atmosfera di quelle letture dickensiane, attenendosi in pieno al testo originale, musicato con maestria da Carlo Lomanto e recitato quasi a memoria da Paolo Cresta. La sua voce, calda e conciliante alle volte, terrifica o roboante alle altre, è la grande protagonista del Canto assieme al Canto stesso che, ormai spogliato del suo valore di critica sociale, si ripete come un rito nel rito: come il Natale, mescolando buoni sentimenti e tradizione, noia e sorrisi. Tanto che l’avvertenza di inizio spettacolo risulta chiarissima: chi vuole dormire, lo faccia pure, aiutato dal soffice plaid offerto nel foyer e dal tepore delle poltrone disseminate attorno al narratore.
Una fetta di pandoro, una cioccolata calda, del buon vin brulé: al Pozzo e il Pendolo sanno come coccolare lo spettatore, portando il Canto di Natale al rango di esperienza oltre la semplice rappresentazione teatrale; due ore di Natale allo stato puro, tutto da gustare (per gli amanti del genere, chiaramente).
“Marley era morto, tanto per cominciare”. Che anche questo Natale abbia inizio, dunque.
Antonio Indolfi
Il Pozzo e il Pendolo
Piazza San Domenico Maggiore, 3 – Napoli
orari: sabato ore 21,00
domenica ore 18,30
prenotazioni: 081 5422088 | info@ilpozzoeilpendolo.it