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La ricerca drammaturgica di Filippo Gili travolge l’anima umana con un dilemma sulla vita e sulla morte, in scena al Teatro Argot di Roma fino al 25 gennaio.

Fonte foto Ufficio stampa

Foto Matteo Nardone

Entra silenzioso il pubblico del Teatro Argot: scivola discreto lungo la sala per non interrompere la quotidianità della vita umana, quella di un pranzo casalingo che si consuma al centro della scena, attorno a un tavolo imbandito. Un divano e una poltrona in pelle, e una lampada a stelo anni Sessanta, completano il ritratto di un’immaginaria abitazione borghese, mentre sul lato opposto, una lunga scrivania bianca sottostà a un neon che disegna nell’intermittenza un ambiente ospedaliero spersonalizzato, glaciale, distante.

È questa la spazialità tripartita di Dall’alto di una fredda torre (in replica fino al 25 gennaio), proseguimento dell’interrogativo drammaturgico di Filippo Gili, già affrontato in Prima di andar via, sul lacerante dilemma morale legato alla scelta tra la vita e la morte. Un luogo di misterioso tepore, riempito di plastica densità grazie alla compresenza di luci e ombre ponderate da Giuseppe Filipponio, che racchiude all’interno delle pareti scure l’intimo e protettivo abbraccio famigliare. Ed è proprio in questo primario nucleo sociale che nasce e si sviluppa l’angosciosa responsabilità imposta dal libero arbitrio a chi ha la possibilità, più che il dovere, di decidere della salvezza o della perdita dei propri cari.

Da un lato i genitori, Giovanni (Ermanno De Biagi) e Michela (Michela Martini), coppia di mezz’età il cui legame matrimoniale si riflette nel tenero sarcasmo delle loro parole, nelle dichiarazioni d’affetto mai pronunciate, negli sguardi di silenziosa complicità. Dall’altro i figli: Elena (Barbara Ronchi), giovane istruttrice di nuoto, logorata dalla sua stessa frustrata irriverenza, e suo fratello Antonio (Massimiliano Benvenuto), autoreferenziale mancato intellettuale, uniti l’una all’altro da un vincolo di consanguineità dipendente, mentalmente incestuosa, rassegnata.

Fonte foto ufficio stampa

Foto Matteo Nardone

Solo la figlia femmina, l’unica compatibile, può donare le cellule staminali sottoponendosi a un intervento chirurgico – uno soltanto – che salverà la vita di un solo genitore, condannando a morte l’altro. È questo l’arido e cinico aspetto della realtà rivelato dalla coppia di medici (Aglaia Mora e Matteo Quinzi), che sono simbolo vivente dell’accanimento scientifico, della dipendenza tossicologica dal cercare risposte, dal dissipare enigmi, dal curare a ogni costo, indiscriminatamente, in nome dell’etica. È il “gioco della torre”, quello fatto per finta, per un divertimento di amara goliardia che si trasforma ora in una dilaniante, inattesa e colposa impotenza, resa sulla scena tangibile tensione nervosa di sciolta, e a tratti irrispettosa, sfacciataggine.

La regia di Francesco Frangipane guida queste quattro esistenze, attraverso un’invisibile e intensa carezza, li assiste nei loro movimenti di rallentato spaesamento, di sconcertante distacco dalla propria anima, di dolente remissività alla vita che li trasforma, poco per volta, in sopravvissuti svuotati d’umanità. La sala si carica del peso che schiaccia lo spirito di chi è chiamato a determinare la propria vittima; di chi, invece, è involontariamente privato della facoltà di salvare, e per questo martoriato dalla responsabilità di influenzare l’altrui pensiero; e, infine, di chi è tenuto all’oscuro, lontano dal dubbio, protetto dal mancato interpello, impedito di stabilire il proprio futuro.
E il pubblico, mentre osserva questo ritratto di un interno svanire nel buio, diventa erede della consapevolezza di come il destino, la coincidenza e il potere decisionale, possano spaccare, come lame calde nel cuore, la serenità del microcosmo familiare, invitando al parziale sacrificio degli affetti, alla rinuncia inevitabile e irreversibile di un pezzo di sé.

Nicole Jallin

Teatro Argot Studio
Via Natale del Grande, 27, Roma
Contatti: 06 589 8111 – www.teatroargotstudio.com
Orari: dal martedì al sabato ore 21.00, domenica ore 17.3

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