Fragile show
In scena al Teatro dell’Orologio di Roma, la spietata frenesia della compagnia Biancofango interpreta Thomas Bernhard completando la trilogia dedicata al tema dell’inettitudine, già indagato con “In punta di piedi” (2006) e “La spallata” (2007).
Il silenzio ha il suono dei passi. Quelli mossi, in una misteriosa irrequietudine, intorno a una panca, centro gravitazionale di una scena nuda e vuota, da Mastino (Andrea Trapani), eco sbiadito di un bernhardiano Werthaimer, la cui densità (in)corporea risiede nella posticcia eleganza ottocentesca di un frac bianco, ultimo di numerosi strati variopinti e sovrapposti (i costumi sono di Isabella Faggiano).
Le pareti scure e spoglie della Sala Gassman del Teatro dell’Orologio accolgono, fino al 1 febbraio, la compagnia Biancofango che con Fragile show, drammaturgia e regia di Francesca Macrì e dello stesso Trapani, assorbono l’eredità del Soccombente di Thomas Bernhard per concentrare la messinscena lì dove terminano le pagine del romanzo.
La Vienna originaria lascia il posto a una Firenze appartenente a una modernità indefinita, remota, sospesa in una dimensione rimembrante, astratta: tagliata da fasci di luce (curati da Mirco Maria Coletti) che scivolano sulle carni di sudore e fatica come impetuose carezze d’aria, e bruciano sul volto come schiaffi inattesi. Culla di citati narcisisti snob (capaci di trasformare il gesto della croce in liturgica occasione per sfoggiare la manicure), dove ha luogo la “festa d’artisti” organizzata da Mastino nella sua residenza di gatsbiano richiamo, con invitati i vecchi compagni di conservatorio.
In un monologo d’intenso e controllato nervosismo interpretativo, Trapani dà vita a una celebrazione di assenze – a cominciare dall’immaginaria amicizia con Glenn Gould) – ripiena di deliranti ricordi, di parole, odori, musiche (da Bach a Tenco) di malinconico affetto: abitanti di un passato svanito nella sua mente follemente lucida.
Solo noi, ospiti nel suo intollerante e frustrato sguardo velato di disprezzo, possiamo assistere alla sua distorta e “cannibalesca” percezione dell’umanità che trasforma ogni essere umano in invisibile rappresentante di grottesca ipocrisia, di degradato patetismo d’animo, di putrido e fastidioso mormorio. Frammenti di un’autoimposta sopportazione, somatizzata, maturata e digerita nella testa, alla quale, tuttavia, è legato da una dipendenza di cronica morbosità. A loro dona, di volta in volta, corpo e mente: voce abbassata, mani in tasca, e un delicato e coatto menefreghismo, sono l’essenza di un fiorentino un tempo pianista e ora rassegnato critico musicale; gambe divaricate, sorriso disteso nel ghigno e paranoico pessimismo, definiscono un secondo compagno; rapida parlantina, interrotta da schiocchi del palato, mista ad euforici movimenti, delineano la personalità eccentrica ed effeminata di un terzo. Parole, grida e impeti fisici di nevrotica e convulsa depressione manifestata in respiri trattenuti, in mutismi opprimenti, in suoni soffocati da dentro, tra lingua e gola: inudibili silenzi castratori di un autolesionista rancore, represso e mai sfogato. Eterne ombre che scatenano il corpo in danze di violento e febbricitante istinto suicida.
Nicole Jallin
Teatro dell’Orologio
Via dei Filippini, 17/a, Roma
orari: dal martedi al sabato ore 21.15 – domenica ore 17.45
Contatti: 06 687 5550 – www.teatroorologio.com/