Il “Puzzle” dei Kataklò
Dal teatro alla danza fino all’acrobatica: si caratterizza per varietà e diversità artistica il nuovo lavoro della storica compagnia che facendosi sintesi di progetti antecedenti, lascia ai singoli performer, con “licenza di fantasia”, la libertà di farsi autori delle singole coreografie.
Da mercoledì 21 a domenica 25 gennaio il Teatro Carcano, che dall’ormai lontanissimo 1803 anima il patrimonio culturale di Milano, ha accolto la compagnia Kataklò Athletic Dance Theatre in Puzzle: un’ora e un quarto di spettacolo in cui il gruppo di physical theatre più amato della scena italiana realizza una composizione fatta di atletismo acrobatico, mimica, danza, colori accecanti, musiche inaspettate e un dinamismo che ha quasi dell’incredibile e dell’inarrestabile.
Come un incastro di piastrelle cesellate con finezza, che si combinano tra di loro con più o meno armonia (da qui il titolo), le brevi coreografie ideate da Giulia Staccioli, direttrice artistica del progetto, e dal suo assistente Paolo Benedetti, coinvolgono direttamente gli artisti nel processo di creazione: i ballerini, in tal modo, non sono solo danzattori, ma anche danzautori dei loro stessi pezzi.
Si alternano così quadri a sé stanti, nei quali a prevalere sono sempre e solo l’energia e l’instancabilità delle membra: tutto inizia quando i magnifici sette cominciano ad avanzare sul palco nascosti da teli sgargianti con i quali giocano ed interagiscono; poi si trasformano in pedine rosse che, come un’unica persona, si dimenano compatte a suon di hardcore; un uomo con una torcia allacciata sulla fronte si muove lentamente in una sorta di atmosfera postatomica e nebulosa; due giovinetti cavalcano delle biciclette ferme sfidandosi a vicenda, usando manubrio e sellino come fossero travi o pertiche su cui roteare ammiccando ad una svolazzante donzella; in un enorme bozzolo la nascita di una futura farfalla incanta poeticamente la scena e il pubblico; due frenetici ragazzotti si nascondono e si spingono in casse metalliche dalle quali escono ed entrano con prove di forza ed agilità estreme; un impiegato in giacca cravatta e giornale si lascia trascinare dallo spirito libertario della coppia accanto a lui; un marinaio volteggia attorno ad una bambolina fuxia dalla gestualità a scatti; una venere botticelliana dondola con impressionante leggerezza su di un’altalena calata dall’alto che si rivela essere una donna di fiori vestita.
La perfezione quasi statuaria e l’elasticità dei corpi dei performer suggeriscono incessantemente l’idea che con i propri muscoli, tendini e ossa si possa tutto: i movimenti fluidi e acrobatici degli artisti, la loro varietà espressiva, l’ingannevole semplicità con cui saltano e piroettano, la pulizia di salti e prese, l’eleganza di rovesciate tenute penchè ed esercizi acrobatici di qualsiasi sorta e difficoltà si inanellano costruendo tante coreografie sì slegate tra loro, ma sicuramente di inestimabile qualità tecnica.
Tutti gli attrezzi utilizzati – seppur pochi – sono un pretesto per danzare, per esibire la propria arte in un climax di costante tensione, per fare evoluzioni eccezionali: ciò accade soprattutto nella migliore esecuzione in assoluto, ovvero quella in cui tre danzatrici abbigliate con tute aderentissime, argentate e riflettenti, ondeggiano all’unisono su sci futuristici, conquistando applausi e stupore generale.
Se da un lato, dunque, l’eccezionale bravura degli interpreti non può essere messa in discussione, d’altro canto la scelta delle luci, talvolta, appare poco studiata e/o scarsamente tesa a migliorare la qualità della visione (i netti stacchi in nero tra un pezzo e l’altro del puzzle coreografico sono apparsi come la soluzione più semplice da attuare), così come il volume della colonna sonora che risulta sottotono in tutta la prima parte della rappresentazione per subire una virata sostanziale nella seconda.
I momenti corali (uno tra tutti, quello in cui un sound che rimanda ad un passato ellenico ormai perduto si fonde perfettamente con le movenze dei danzatori) sembrano funzionare meglio rispetto agli assoli, probabilmente a causa del fatto che, nei primi, l’energia e la bravura del singolo si moltiplica esponenzialmente per il numero degli interpreti presenti sul palcoscenico.
Certo è che quando l’abilità tersicorea e la dedizione assoluta alla danza avant-garde si uniscono e perfettamente amalgamano, solo allora, nasce uno spettacolo firmato Kataklò.
Erika Sdravato
Teatro Carcano
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