Umberto Bindi, quando gli amici se ne vanno
Al Teatro Sancarluccio di Napoli, l’omaggio, in prima nazionale, di Cesario e Mocciola ad un artista che ha pagato a caro prezzo la sua libertà d’amare.
È una carezza all’uomo e alla memoria quella immaginata da Gianmarco Cesario ed Antonio Mocciola per omaggiare – ricostruendone la vita personale e la carriera – un cantautore sensibile e schivo come Umberto Bindi, riportato alla memoria di chi lo ha conosciuto ma anche dei tanti che, purtroppo, oggi ignorano le sue canzoni, con lo spettacolo-concerto Gli amici se ne vanno, andato in scena al Teatro Sancarluccio di Napoli dal 22 al 25 gennaio.
A vestirne i panni e prestargli la voce (senza alcuna pretesa di emulazione, come precisano gli autori), nel ruolo di protagonista e regista, l’ottimo Massimo Masiello, che con eleganza e sobrietà si fa interprete di una personalità sensibile, riservata, artefice di un patrimonio musicale di rilievo nella storia della canzone italiana, eppure volutamente osteggiata, allontanata, dimenticata per la sua dichiarata omosessualità.
Caso emblematico di una realtà ben più diffusa che conoscerà nel tempo altre “vittime” di ostracismo, con effetti drammatici per i malcapitati, la storia del capostipite della “scuola genovese” viene ripercorsa dagli inizi, attraversando le principali tappe artistiche, i successi internazionali, i fallimenti ma anche i più importanti eventi afferenti la vita privata. Due su tutti quelli che in particolar modo segnarono l’esistenza di Bindi: la morte tragica della madre, intorno alla quale mai è stata fatta chiarezza, e l’arresto per essere stato sorpreso in compagnia di un giovane ragazzo. A fare da fil rouge, le note della sua musica, le parole delle sue canzoni, le suggestioni legate a ciascuno dei suoi brani, riarrangiati per l’occasione dai Letti Sfatti, che Masiello canta con voce limpida, possente, restituendone a pieno le emozioni e la poeticità, così come la drammaticità, ancora più evidente ora che l’ascolto è consapevole degli esiti e della fine che la stessa vita di Bindi ha conosciuto.
A fare da sfondo a quello che certamente è un percorso individuale ma di cui è innegabile il valore universale, la Storia d’Italia, quella legata ai “favolosi” anni Sessanta che ora, visti da un’altra angolazione, svelano la loro vera natura di anni estremamente difficili, di passaggio, in cui si registra un epocale cambio generazionale che culminerà con la rivoluzione culturale del ’68, ma durante i quali la massiccia influenza della Chiesa così come della Democrazia Cristiana al potere non ha mancato, al contempo, di influenzare molti aspetti della libertà di espressione, così come non ha mancato di condizionare alcune scelte politiche/legislative di cui persone in carne e ossa hanno pagato le conseguenze. Non casuale, pertanto, è il ricordo della storia di Franca Viola, siciliana, prima donna ad aver rifiutato il matrimonio riparatore dopo essere stata rapita e violentata dal suo ex fidanzato, e divenuta per questo simbolo di una emancipazione femminile che fino a quel momento aveva faticato ad imporsi e realizzarsi; così come non casuale è il ricordo di Mina e di suo figlio nato quando il padre, Corrado Pani, era ancora formalmente sposato e per questo diventata oggetto di critiche e censura da parte della TV, a cui potè far ritorno solo dopo qualche tempo.
Masiello si muove sul palco (scenografato da Francesco Esposito che riproduce l’interno di un camerino) con disinvoltura, ora parlando come se fosse lo stesso Bindi, ora distaccandosene e raccontando di lui da “fuori”: evidente è la sue emozione così come la sua gratitudine nei confronti di un artista che avrebbe voluto far parlare di sé solo per il proprio lavoro e non anche per i suoi amori, e la cui generosità e riservatezza, fraintesa e mal ripagata, gli ha riservato un destino ostile. Non monotona, ma puntualmente costruita e ritmata in modo equilibrato, la regia che opta per continui cambi di giacca per rendere il passaggio da un avvenimento ad un altro, e dunque da una scena all’altra, e punta su un efficace gioco di luci per accentuare, con la giusta enfasi, l’atmosfera malinconica propria della storia narrata.
Tra il pubblico, inevitabile la tentazione di cantare sottovoce le melodie più note, da Il nostro concerto ad Arrivederci, così come inevitabile emozionarsi applaudendo, al termine, alla bellezza della messinscena così come alla bellezza di un’anima poeta: quella di Umberto Bindi.
Ileana Bonadies
Nuovo Teatro Sancarluccio
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