L’ultima estate dell’Europa
A Napoli Galleria Toledo si trasforma in trincea per raccontare la Grande Guerra, nello spettacolo diretto da Ruggero Cara, con Giuseppe Cederna.
È la musica a interrompere il silenzio e a fendere il buio della sala. Una musica che è co-protagonista ne L’ultima estate dell’Europa, in scena a Galleria Toledo dal 29 gennaio al 1 febbraio. Eseguita dal vivo dai maestri Alberto Capelli, alla chitarra e percussioni, e Mauro Manzoni, ai flauti, sassofoni e clarinetto basso, essa accompagna le parole del protagonista, Giuseppe Cederna, talvolta assecondando la sua recitazione, talvolta stridendo con i movimenti dell’interprete, quasi a creare un forte contrasto dal quale emergono visioni.
Vivaci suoni balcanici disegnano, davanti agli occhi della platea, le strade di Sarajevo, il popolo in festa, i balconi addobbati di fiori, il corteo che scortava Francesco Ferdinando e l’amata consorte. Era il 28 giugno del 1914 quando l’omicidio del futuro imperatore d’Austria cambiò le sorti dell’Europa. E di quel giorno Cederna, nella drammaturgia scritta a quattro mani con Augusto Golin, non rievoca semplicemente l’episodio tragico riportato sui libri di scuola, ma anche sensazioni, umori ed incertezze dei tre giovani dissidenti bosniaci coinvolti. Manovrati dai servizi segreti che seppero sfruttare, a proprio vantaggio, l’ardore per un sogno di libertà, due dei ragazzi in procinto di eseguire l’attentato furono catturati, mentre Gavril Princip, l’unico a sfuggire alle forze dell’ordine, riuscì nel suo intento di assassinare l’arciduca.
Il sacrificio di uno, lo studente Gavril-l’erede al trono Francesco Ferdinando, è compiuto. L’uniforme indossata dall’attore, che ha visibile il segno dello sparo all’altezza del cuore, ne è la prova. Così come l’iniziale racconto su Abramo, nell’atto di scannare l’amato figlio, decantato dall’alto dei sacchi che, in quel caso, più che sembrare una trincea, richiama alla mente la visione di un altare votivo, era stato presagio di tale sventura.
I riferimenti a possibili e probabili connessioni con le ambiguità di certi eventi politici attuali sono facili da vedere, anche se mai banalmente suggeriti all’interno della pièce. D’altronde lo spirito di πóλεμος era presente negli uomini cent’anni fa e lo è anche oggi. L’attitudine alla lotta e al potere e gli interessi economici causarono un “effetto domino” che in pochi mesi registrò dichiarazioni di guerra, attacchi, invasioni di territori. Cederna illustra su una cartina, quasi con intento didattico, il nuovo assetto europeo, terminando la sua lezione con una domanda: “E l’Italia? Cosa succede in Italia?”
Idealmente è qui che si potrebbe dividere lo spettacolo in due parti. Il primo momento, caratterizzato da una sorta di radiocronaca in immagini il cui ritmo sostenuto è scandito dal suono di un campanello, lascia il posto al racconto in frammenti degli uomini che hanno partecipato alla Grande Guerra.
Le battaglie, le situazioni e le persone rivivono nel manifesto del futurismo di Marinetti, nella poesia di Wilfred Owen, nella scrittura arrabbiata di Gadda, nelle parole del generale Cadorna, nel verace dialetto romanesco di Trilussa. Rievocando lo scrittore, la regia di Ruggero Cara intuisce la necessità di suggerire i corpi delle vittime di cui egli scrive. Così, spostati i sacchi dalla barricata e gettati quasi in proscenio, viene disegnato un camposanto di oggetti-ricordi, nel quale l’interprete continua il suo narrar monologando, alternandosi agli strumenti musicali.
Sempre più incalzante e insistente la presenza delle sonorità ora, crea un’eccedenza, evidentemente voluta, che dà forti suggestioni. Emoziona, con la sua delicatezza, il segmento rivolto a Giuseppe Ungaretti. Lui, un italiano nato ad Alessandria d’Egitto che va a Parigi e torna nella sua patria d’origine per arruolarsi come volontario, è l’emblema del viaggiatore per eccellenza. E L’ultima estate dell’Europa è sostanzialmente un viaggio, o meglio la narrazione di esso, oltre il tempo, all’interno dell’umanità, che conclude il suo cammino sulle rive dell’Isonzo, laddove ancora si possono raccogliere i chiodi degli scarponi di quei “ciclopi”, alti un metro e mezzo e di quaranta chili, che, con il loro dolore, sono entrati nella storia.
Antonella D’Arco
Galleria Toledo, Teatro Stabile d’Innovazione
Via Concezione a Montecalvario, 34- Napoli
Contatti: 081. 425037 – galleria.toledo@iol.it – http://www.galleriatoledo.org/
Orario-spettacoli: 20.30 (feriali); 18.00 (domenica)