La lista di Schindler
Ispirato all’omonimo libro dal quale è stato a sua volta tratto il lungometraggio di Spielberg, Carlo e Francesco Giuffrè, in onore della Giornata della Memoria, portano in scena al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, la vita post guerra di Oskar Schindler.
In occasione del Giorno della Memoria, è tornato sul palcoscenico Carlo Giuffrè con lo spettacolo La lista di Schindler, adattamento e regia del figlio Francesco dal romanzo di Thomas Keneally e in scena dal 28 gennaio al 1 febbraio 2015 al Nuovo Teatro Nuovo.
Il giovane Giuffrè si cimenta in una messinscena che è volutamente slegata dal capolavoro filmico di Spielberg, ma il complesso tentativo di riadattamento e il peso ineluttabile del confronto determinano inevitabilmente difficoltà, soprattutto nell’affrontare l’immaginario collettivo sull’eroe, indissolubilmente ancorato nelle menti, negli occhi e nelle aspettative degli astanti. La trovata sta nel rappresentare gli avvenimenti a ritroso nel tempo e Schindler ormai anziano, ripercorrendo per grandi linee la sua biografia, fino al momento della guerra e della sua “missione”.
Sin dall’inizio della rappresentazione, le scelte drammaturgiche di Giuffrè – che mirano a restituire l’immagine di Oskar Schindler sotto un profilo umano evidenziandone i limiti, le insicurezze e i dubbi legati al suo agire passato – risultano purtroppo poco convincenti. Ciò che maggiormente inficia il racconto è la scelta di far partire la narrazione dal rapimento dell’industriale da parte di un gruppo neonazista, pretesto che viene utilizzato dal regista per aprire il vecchio baule dei ricordi. Lo spettacolo non decolla e la debolezza del testo, tra sviluppi inverosimili e poca creatività nei dialoghi, ne è la prima causa.
Ad interpretare l’anziano Schindler è Carlo Giuffrè, protagonista dell’ora e trenta di recitato: una performance ardua per un attore che, all’età di 86 anni, per quanto la lunga carriera ne abbia testato le indubbie qualità, non può sostenere con carica convincente, sia dal punto di vista interpretativo che emotivo, senza palesare cedimenti del tono così come del corpo. Il timbro vocale è debole e non può restituire i momenti concitati richiesti dalla prova, mentre i movimenti in scena sono inevitabilmente limitati e ciò smorza anche la potenza espressiva della recitazione corporea.
Accompagnano il protagonista sul palco gli attori Valerio Amoruso, Caterina Corsi, Pietro Fajella e Riccardo Francia. Essi sono chiamati ad interpretare i personaggi ripescati dalla memoria di Schindler, che gli appaiono come fantasmi, dando corpo visivamente al suo personale mondo di ricordi. Inoltre i quattro recitano negli intermezzi che si intrecciano al racconto principale, per narrare, evocandola, la tragedia della Shoah e la vita nei campi di concentramento degli ebrei deportati. In questi poetici frangenti, quasi interamente mimati, la recitazione è prevalentemente fisica e restituisce le emozioni eliminando quasi completamente l’utilizzo della voce; e sebbene il regista releghi questa parentesi in secondo piano, è proprio essa ad alzare il tono dello spettacolo e a offrire agli attori l’occasione per dimostrare le proprie capacità.
L’intreccio tra le due storie, indissolubilmente legate, è ambientato nella fumosa scenografia di Andrea Del Pinto, che inquadra il palcoscenico con due recensioni tipiche dei campi di concentramento ed arricchisce la scena con accumuli di panni, scarpe e valigie, rafforzando l’immaginario della prigionia. Sul fondo, il bunker del gruppo neonazista è riconoscibile immediatamente dalla presenza di una svastica, seppur appena accennata. I costumi di scena di Sabrina Chiocchio, ricercati e minuziosamente verosimili, sono tratti da un fittissimo repertorio che dimostra un approfondito studio rigoroso e filologico, quasi da set cinematografico.
È nobile l’intento di partecipare con uno spettacolo teatrale alla ricorrenza della memoria dell’Olocausto, alla cui celebrazioni le arti visive e performative spesso restano estranee. D’altro canto però, non si può non constatare che la scelta non ha brillato per innovatività, rivelandosi piuttosto il remake di un grande classico, con tutti i rischi che una operazione del genere comporta. Probabilmente, invece, si sarebbe potuto osare di più e, con l’occasione, ricordare accanto all’orrore della Shoah, gli stermini (ancora tristemente attuali) di tutti gli “indesiderabili”.
Alessia Santamaria
Nuovo Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16, Napoli
Info e prenotazioni: botteghino@teatronuovonapoli.it – 081 497 62 67 – www.teatronuovonapoli.it