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Secondo lavoro della compagnia MusellaMazzarelli, vincitore del Bando In Box 2010, lo spettacolo ha inaugurato la stagione teatrale del Nest a San Giovanni a Teduccio (Napoli). Nell’intervista dedicata ecco come i due attori/registi/drammaturghi si raccontano.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

È una fotografia cinica e realista quella che ci restituisce lo spettacolo Figlidiunbruttodio, di e con Paolo Mazzarelli e Lino Musella, andato in scena, in apertura di cartellone, al Nest di San Giovanni a Teduccio il 14 e 15 febbraio 2015.
Come una lente di ingrandimento puntata su due spaccati di una realtà ben più complessa e vertiginosa, la messinscena è su condizioni apparentemente lontane che si sofferma per raccontare, in realtà, un identico baratro: quello in cui sono caduti i cinque protagonisti della storia, interpretati dagli stessi Mazzarelli e Musella, in un cambio di ruoli alternato.

Vittime di una società che stritola chiunque non riesca ad aggrapparsi ai precari ingranaggi di sopravvivenza e che inganna con false promesse illudendo esista una speranza salvifica per tutti, i personaggi descritti si muovono in una “fogna regale, nella quale hanno diritto a nuotare o annegare solo pochi eletti”. Ma mentre da un lato squallido, artefatto e alterato dalla Tv – moderna sirena tentatrice di poveri naufraghi in cerca di un approdo identitario – è lo spazio vitale in cui si muovono i due gemelli e il conduttore televisivo della prima storia, realmente tacciata di povertà (questa volta non morale) è l’esistenza dei due uomini della seconda vicenda narrata, in cui è la promessa di un lavoro ad animare le speranze dei due nullatenenti costretti a scavare nell’immondizia mentre restano in attesa di un autobus metafora di una possibilità di riscatto che tarda ad arrivare.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Narrati separatamente, lasciando che il cuore della drammaturgia sia rappresentato dall’episodio maggiormente legato all’attualità più becera, quello in cui sono immediatamente riconoscibili i nostri tempi, la precarietà di valori che li caratterizza, i nuovi miti che li popolano, l’esigenza – considerata vitale – di apparire, essere famoso, essere acclamato ad ogni costo (funzionale in tal senso la scelta di accompagnare la scena con proiezioni di  immagini televisive di programmi cosiddetti spazzatura eppure seguitissimi dal pubblico), i due quadri si avvicendano e stridente diventa in questo modo il contrasto di cui si vogliono fare simbolicamente espressione.

Emotivamente d’impatto, asciutta nella sua esplicativa linearità, l’interpretazione con cui i due attori (anche autori e registi al 50% della piece) tratteggiano i personaggi conferendo loro amara credibilità e riuscendo, con pochi elementi, a definirne i contorni necessari per identificarli. La stessa essenzialità, del resto, si riconosce nella scenografia, segno di un teatro che affida essenzialmente alla parola e alla prova attoriale ogni valore fondante, lavorando principalmente su ciò che sguardi, atteggiamenti, frasi e oggetti evocano. E sebbene al negativo sembra essere declinata ognuna di queste esistenze, non manca in realtà una ironia di fondo a spezzarne la drammaticità, così da far evincere quanto ancora una volta – in questo modo – precisa sia la volontà di lavorare sui contrasti (etici e materiali) per fare emergere con forza le contraddizioni sociali/epocali di quanto si sta rappresentando.

In occasione del passaggio al Nest della compagnia, abbiamo intervistato i fondatori per conoscere meglio il loro lavoro e questo è quanto ci hanno generosamente raccontato:

Figlidiunbruttodio è il secondo dei 3 lavori (gli altri sono Due cani e Crack Machine) che avete realizzato usando la tecnica della creazione a due equamente divisa, dalla ideazione alla interpretazione. Da dove nasce questa esigenza e quali i limiti e/o le libertà che vi concede?
È successo così: dal 2002 al 2009 siamo stati compagni di palco e di avventura in alcuni progetti. Poi nel 2009 abbiamo deciso di provare a fare uno spettacolo insieme (era DUE CANI), dividendoci le responsabilità alla pari nel modo che voi descrivete. È andata abbastanza bene, e ci è venuta voglia di rimetterci alla prova, di migliorare, di riprovarci. Così è nato FIGLIDIUNBRUTTODIO. Forse la vera consapevolezza di voler essere o diventare una “compagnia” è arrivata solo allora, dopo il secondo spettacolo. Ogni nostro spettacolo è stato però creato in modo molto diverso da quello che lo ha preceduto, e ha richiesto un “metodo”, se così vogliamo chiamarlo, nuovo e specifico, che abbiamo “scoperto” solo di volta in volta, lavorando. Riguardo all’essere sempre in due -dividendoci tutte le scelte- la cosa funziona solo se si verificano due condizioni: 1- Ci si completa nelle qualità, ci si sostiene nei limiti. 2- Ci si fida ciecamente uno dell’altro. Finora queste due condizioni -pur fra mille difficoltà- non sono venute mai meno, e questo ha fatto sì che, probabilmente, in due finiamo semplicemente per fare degli spettacoli migliori di quelli che ciascuno di noi due farebbe da solo. Certo, è richiesta una continua, instancabile attenzione ed apertura ad un altro da sé. Ma questo non è un limite, semmai è una fatica, ma fertile e salutare.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Con La società (Premio della critica 2014, Premio Le Maschere del teatro 2014 a Lino Musella come miglior attore emergente) e col nuovissimo lavoro che debutterà a novembre di quest’anno, vi distaccate da questo “metodo” e coinvolgete altri attori: evoluzione o fine naturale di una modalità che finora vi aveva, però, certamente caratterizzato?
In realtà il “metodo” è esattamente lo stesso. Pensiamo, inventiamo, scriviamo e dirigiamo in due il lavoro, proprio come all’inizio. Quello che è cambiato col tempo sono semmai due cose. Primo: da LA SOCIETA’ in poi, ci è venuta voglia di avere dei compagni di scena, e di provare ad allargare il gioco. Secondo: LA SOCIETA’ è il primo dei nostri lavori ad essere stato quasi completamente scritto prima dell’inizio delle prove. I primi tre partivano invece dal canovaccio, e avevano quanto meno alcune zone che lasciavano un piccolo margine all’improvvisazione. Non è che ci siamo svegliati una mattina e abbiamo detto: “Ora scriviamo”. Siamo arrivati alla scrittura pura (per come è classicamente intesa) solo al quarto spettacolo, dopo tre tentativi in solitario che ci sono serviti da palestra per andare verso una reale scrittura scenica, una scrittura pensata da e per attori. Il canovaccio insegna all’attore a scrivere in scena (in realtà un attore “scrive” sempre, in scena, anche quando ripete parole scritte da altri), e per noi è stata la strada che ci ha condotto, per gradi, verso la scrittura teatrale vera e propria. Il nuovo spettacolo LE STRATEGIE FATALI sarà composto addirittura da tre storie che si intrecciano fra loro. Ci saranno 16 personaggi, per 7 attori. Oltre a Fabio Monti e Laura Graziosi, già nostri compagni ne LA SOCIETA’, avremo il piacere di avere come compagno di scena e di avventura un grande attore come Marco Foschi. E poi ci saranno due giovanissimi. Una grande sfida, indubbiamente. Saranno fuochi d’artificio. Speriamo di non saltare in aria.

L’indagine del tempo presente è una costante dei vostri lavori e l’attualità di Figlidiunbruttodio ne è la prova, nonostante il lavoro sia del 2010: che osservatori della realtà che vi circonda siete? E cosa deve in particolare colpirvi perché possiate poi trasformarlo in incipit per uno spettacolo?
Diciamo che in ognuno dei nostri spettacoli si tratta un tema che non si poteva trattare fino a poco tempo fa’, semplicemente perché i temi che trattiamo hanno relativamente pochi anni di vita. La televisione, l’ossessione per il successo, la nuova povertà e il nuovo potere, la finanza, la gestione societaria, e -nel nuovo spettacolo- il porno e il terrore. Questi sono alcuni dei temi che tocchiamo. Tutta roba esplosa negli ultimi anni o decenni. Se vogliamo trattare questi temi, e se vogliamo farlo attraverso un teatro d’attore, allora forse provare a scrivere drammaturgie originali può avere un senso, e può produrre qualcosa di personale e di originale. Se tutto questo avviene, per miracolo, allora si è prodotto un momento di teatro necessario. È difficile dire da cosa partiamo quando cominciamo a pensare uno spettacolo. Ad esempio il nuovo spettacolo LE STRATEGIE FATALI parte – a livello di argomenti – da un omonimo saggio filosofico di Jean Baudrillard che ci ha ammaliato entrambi. In quel libro si parla di terrore, di osceno, di porno, di maligno, di strategie dell’oggetto. Ma poi tutte queste (meravigliose) idee devono diventare teatro. Così le abbiamo “messe” in due storie che abbiamo inventato noi, e abbiamo scoperto che queste due storie inventate – guarda caso – hanno entrambe qualcosa a che fare con l’Otello di Shakespeare. Come se non bastasse, poi, il tutto si “completa” con un piccolo lavoro di due anni fa presentato al Teatro Franco Parenti a Milano che si chiamava INDAGINE SU UNO SPETTRO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO (un “giochino” di venti minuti sull’Amleto), che farà da prologo e da epilogo. Così siamo arrivati alle tre storie intrecciate fra loro che costituiscono il cuore del progetto. Ma come vedete è difficile ricostruire il percorso creativo che conduce ai nostri lavori. È un procedimento simile a quello della cucina, probabilmente. Mettiamo degli ingredienti base, e poi cuciniamo e cuciniamo, finché non ci sembra che il sapore sia quello desiderato. C’è molto caso, anche. Che non vuol dire caos. Probabilmente vale la regola che bisogna partire e cercare qualcosa. Qualunque cosa. Cercando qualcosa si finisce sempre per trovarne un’altra, ma se non si fosse cercata la prima non si sarebbe trovata la seconda. Ecco. Ora se qualcuno poteva aver voglia di seguire il nostro “metodo”, gli abbiamo sicuramente fatto passare la voglia.

Foto Cesare Abbate

Foto Cesare Abbate

Tragicità e ironico sarcasmo sono le direttrici lungo le quali le vostre messinscena si sviluppano non senza indurre lo spettatore a guardarsi in ciò che probabilmente egli stesso è, come individuo e come società: cosa vorreste che ciascuno portasse a casa – monito, insegnamento – dopo la visione di un vostro spettacolo?
Più che sarcasmo, cerchiamo di stare su un filo che renda possibile il tragico e il comico in ogni momento. Il teatro deve scuotere, deve emozionare, deve far riflettere, ma deve anche possibilmente divertire. Oppure, diciamo così: divertire il pubblico ti permette di aprire una breccia, dentro la quale è poi più facile anche provare a commuoverlo, o a colpirlo duro. Tuttavia non sappiamo esattamente che tipo di reazione vogliamo suscitare quando scriviamo. Cerchiamo di dire meglio possibile quello che sentiamo di avere da dire, e ci fidiamo del fatto che quello che ci tocca o ci scuote possa toccare o scuotere il pubblico.

Entrambi, al di fuori della vostra compagnia, lavorate molto come attori scritturati, sia in teatro che in tv: cosa muove e condiziona le scelte nell’uno e nell’altro ambito e vi differenzia e/o completa rispetto poi al lavoro – autoriale, registico e attoriale – di coppia?
Probabilmente le scelte di lavoro al di fuori della compagnia sono dettate da due fattori: il primo è la necessità di guadagnare abbastanza da vivere serenamente, cosa che con il solo lavoro di compagnia sarebbe difficile. Il secondo fattore riguarda il desiderio incessante di migliorarci. Cerchiamo di fare quelle esperienze che pensiamo ci possano rendere uomini, attori, teatranti migliori. Quando ci riusciamo – non sempre – il nostro lavoro di compagnia risulta senz’altro arricchito e completato dai lavori che facciamo da soli, al di fuori. È una relazione aperta, quella tra compagnia e lavori esterni, e il più possibile libertaria, nella speranza che sia fertile e soddisfacente per entrambi.

Ileana Bonadies

Nest – Napoli Est Teatro
via Bernardino Martirano, 17 San Giovani a Teduccio (Napoli)
Contatti: info.teatronest@gmail.com –  349 781 85 80 – 338 237 61 32 – www.napoliestteatro.com

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