Gabriele Lavia e… i suoi personaggi in cerca d’autore
Al debutto, nel 1921, Sei personaggi in cerca d’autore venne accolto dai fischi, prima di diventare, col tempo, un trionfo: oggi il regista milanese lo porta in scena curandone la regia e ricoprendone il ruolo di protagonista. Incontrato a Perugia, ecco cosa ci ha raccontato del testo pirandelliano e della sua visione di Teatro.
“È lo spettacolo più difficile che io abbia mai realizzato Me ne sono reso conto subito, appena ho iniziato a studiarlo”. Con queste parole Gabriele Lavia inizia a parlare di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello in cui si cimenta in veste di attore (nel ruolo del Padre) e di regista. In occasione della messinscena al Teatro Morlacchi di Perugia (18-21 febbraio) , abbiamo incontrato il regista milanese al quale abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio il suo concetto di teatro, “quest’arte – così come lui stesso la definisce – talmente difficile che per quanto tu ci provi, non riesci a farlo”.
Sul palcoscenico, una compagnia si prepara per le prove de “Il giuoco delle parti”. All’improvviso tutto si ferma. In scena entrano sei personaggi che interpellati sulla loro presenza, rispondono “Siamo qua in cerca d’autore”. Sei personaggi in cerca d’autore viene portato in scena da Luigi Pirandello per la prima volta nel 1921 al Teatro Valle di Roma ma non è apprezzato dal pubblico in sala che, al termine del terzo atto, inizia a lamentarsi rumorosamente, sovrastando i pochi estimatori dello spettacolo, e attende addirittura gli attori all’uscita per urlar contro loro insulti. L’autore apporta dunque varie modifiche nel corso degli anni, fino ad arrivare, quattro anni più tardi ad una versione che denota cambiamenti importanti sia nelle battute che nell’allestimento delle scene. La regia di Lavia segue il testo del 1925 ma riportando sul palco parti del testo censurate nell’originale.
Rappresentato per la prima volta a Roma nel 1921, è considerato il dramma più noto di Pirandello. Cosa accade quando, ai tempi odierni, questi sei personaggi incontrano la regia di Gabriele Lavia?
Cosa accade francamente io non lo so. Mi sono attenuto fedelmente al testo di Pirandello a tal punto che lo spettacolo è: “le didascalie eseguite dagli attori”. Non vuole essere nessuna bizzarra interpretazione. I personaggi non escono dalle valigie, non sono nascosti nel sottopalco e non entrano nemmeno dal fondo del palcoscenico come è stato fatto in altre rappresentazioni. E’ tutto come elaborato dall’autore, questo grande autore che scrive certamente il testo più importante della storia del teatro di tutti i tempi, da Sofocle, da Eschilo fino ad oggi. Scritto poi in tre mattine, perché durante il pomeriggio scriveva “Ciascuno a suo modo”. Davanti a questo scoppio di ispirazione, di genio assoluto, trovo che un intervento registico sulla forma del testo sarebbe patetico, come mettersi a correggere Michelangelo o prendere “Guernica” di Picasso e lavorarci sopra.
Un rispetto del testo che denota, dunque, un grande rispetto per l’autore…
Rispettare l’autore è come rispettare la propria moglie. Quindi, in linea di massima, lo faccio anche rispettando la mia buona dose di “tradimento”. Trasferimento, traduzione, tradizione e tradimento e non cambiamento: Pirandello durante la stesura del testo non pensava a me, ovviamente, nel ruolo del Padre. Interpretandolo, io lo “tradisco” perché colloco e trasferisco il suo personaggio dentro il corpo di un attore.
Leggo dalle note di regia: “Il testo interroga il fondamento stesso del teatro: la contraddizione e la discordanza tra l’attore e il personaggio e l’impossibilità a fare dei due una sola unità”. Continuo con la sua citazione di Eraclito “Da ciò che è più discorde, lo splendido accordo”. Mi chiedo pertanto quanto e come attore e personaggio possano fondersi per offrire al pubblico qualcosa di unico per Gabriele Lavia. Esiste un punto di arrivo fra i due?
No, non c’è il punto di arrivo, però l’unica possibilità che l’uomo ha è questa: essere discorde per avere lo splendido accordo. Per avere uno splendido accordo, sono necessarie alcune note discordi altrimenti, appunto, non è un accordo ma è una “mono-tonia”. Occorre invece avere una “poli-tonia”. Non sempre si riesce ad arrivare al risultato finale perché per essere bene accordati occorre una contrapposizione che sia al contempo anche compatibile. Questa è veramente la grande difficoltà: rendersi compatibili. Come? Non si sa, questo è un mistero. E’ il mistero dell’arte della recitazione che è un’arte inafferrabile, inarrivabile, che si fonda sul corpo di colui che è l’artista, in questo caso l’attore, e anche la materia, la forma, è tutto. Diventa tutto. Per questo, soprattutto,non è riproducibile perché è istantaneo quindi è caduco.
In scena abbiamo non tanto finzione e realtà ma verità e finzione della verità: quanto questi sei personaggi si avvicinano o rappresentano la verità?
I sei personaggi sono la verità, gli attori fingono. Sono la finzione che non vuol dire mentire. Sono la messa in opera (e fingere vuol dire mettere in opera), la verità attraverso la poiesis. Nel poetare della verità vi è già un tradimento, dalla verità alla poiesis della verità. Le spiego. Nel momento in cui lei trascriverà le mie parole, io non mi riconoscerò in esse perché non sono mie, sono sue. Così come accade ai personaggi quando vedono recitare la loro parte. Non si ritrovano negli attori e dicono “è una cosa loro, non è più nostra”. Se io fossi Amleto, il vero Principe di Danimarca, e vedessi un attore che interpreta Amleto direi “ma io non sono quello”. Esattamente la stessa frase che pronuncerò quando leggerò la sua intervista a Gabriele Lavia: “non sono io”.
Cercherò di essere fedele il più possibile alle sue parole, quindi…
Peggio. Più sarà fedele e più mi tradirà. E’ un destino. La fedeltà non esiste nell’uomo. Siamo nati traditori.
Visto che stiamo parlando del ruolo degli attori, quando, secondo lei, un attore può dirsi completo, ammesso che questo termine possa essere usato in un ambiente – quello del teatro –che è sempre in movimento e in continua ricerca di nuove forme?
Non lo so. L’attore è completo quando si completa. Non mi posso completare con qualcosa che è fuori di me. Quando io mi completo io sono “complexus”. In realtà completo e complesso sono sinonimi. Quando sono “complessato” in me stesso sono completo. Quando un uomo è completo? C’è il mito platonico che viene riferito nel Simposio. Dice che l’uomo si completa quando trova la sua altra metà.
Ma se l’uomo è traditore, anche quando troverà la sua metà, non potrà mai essere comunque completo fino in fondo…
Lei (NdR. qui il regista sorride bonariamente) è una donna. Non può capire cos’è il tradimento. Il tradimento è la più alta forma di fedeltà. Se Giuda non fosse esistito noi saremmo ancora nell’inferno. Io parlo, ovviamente, di un tradimento metafisico non fisico.
Durante gli incontri o le conferenze precedenti che hanno avuto luogo in Umbria, lei ha sempre sottolineato il grande apprezzamento che nutre per la nostra regione, possiamo sperare in una nuova collaborazione, magari, con lo Stabile dell’Umbria?
Potrebbe essere una buona collaborazione. Ma, al di là dei miei desideri, c’è tutta un’organizzazione dietro, un pensiero, una linea, una scelta che non dipende solo da me. Ancora, comunque, mi rimangono in generale tre o quattro regie poi, se Dio vuole, mi tiro fuori, tolgo il disturbo. Spero di chiudere con grandi capolavori.
In un’intervista del 2013 al Giornale di Rieti lei asserisce che tra cinema, lirica e teatro quest’ultimo è ciò che più la rappresenta.
Il teatro che è quello che mi rappresenta più diffusamente. Non so se l’ho fatto bene o male però l’ho fatto. E l’ho fatto tanto. E mi ha dato tanto dolore, perché il teatro è un’arte davvero troppo difficile.
Francesca Cecchini
Sei personaggi in cerca d’autore
di Luigi Pirandello
con Gabriele Lavia
e con Massimiliano Aceti, Ludovica Apollonj Ghetti, Alessandro Baldinotti, Daniele Biagini, Rosy Bonfiglio, Maria Laura Caselli, Michele Demaria, Giulia Gallone, Giovanna Guida, Lucia Lavia, Andrea Macaluso, Luca Mascolo, Mario Pietramala, Marta Pizzigallo, Matteo Ramundo, Malvina Ruggiano, Alessio Sardelli, Carlo Sciaccaluga, Anna Scola
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Corapi
regia Gabriele Lavia
una produzione Fondazione Teatro della Pergola
Prossime date: dal 3 all’8 marzo al Teatro della Corte di Genova