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Dopo il debutto nel giugno 2013 per il NTFI e la messa in scena al teatro dei De Filippo, lo scorso inverno, l’amara commedia dello scugnizzo Viviani torna al San Ferdinando, dal 24 al 28 febbraio 2015, nella metaforica e onirica visione del regista franco-argentino Alfredo Arias. 

Foto Salvatore Pastore

Foto Salvatore Pastore

Lo spettacolo ha inizio quando, a mo’ di sipario, si alza una tela dipinta: è l’immagine di Napoli, precisamente di una sua piazza, quella del Carmine, deserta. A farcela riconoscere ci sono la chiesa e il campanile e su di essa incombe in lontananza il Vesuvio. Al di là della città ecco il coloratissimo Circo Equestre Sgueglia.
È questa una delle prime acute intuizioni di Arias, che delinea due luoghi,  due mondi a se stanti, uno reale e l’altro onirico, che si contaminano e sconfinano i propri limiti reciprocamente, nel mentre della commedia.
A raccordare e raccontare le storie personali dei protagonisti e la vicenda collettiva della compagnia circense c’è Mauro Gioia, nei panni del narratore. Egli si diverte a recitare anche le didascalie del testo e a prender le sembianze di una scherzosa coscienza che interagisce coi dolori e con le voglie dei protagonisti.

Il plot, semplice da intuire, è fedele alla prima, andata in scena il 29 novembre 1922 al Teatro Bellini, dove a recitare erano Raffaele e Luisella Viviani. Un circo equestre, in decadenza, cerca di tirare a campare e con esso tutte le figure che contiene: i derelitti e più malconci dalla vita e dalla società. All’interno di quel tendone rosso vivido Don Ciccio (Marco Palumbo), il proprietario del circo, e sua moglie Marietta (Autilia Ranieri) si adoperano per preservare la bella figlia Nicolina (Lorena Cacciatore) dagli sguardi maliziosi e carichi di desiderio del cavallerizzo Roberto (Lino Musella). Quest’ultimo, intanto, è già sposato con Zenobia (Monica Nappo) che tradisce sotto gli occhi di tutti, nella voluta e non voluta inconsapevolezza di lei. Lo stesso intrigo avvilisce “Samuele, il re della risata” (Massimiliano Gallo) e la consorte Giannina (Giovanna Giuliani) che se la intende invece col forestiero della compagnia, il toscano Giannetto (Carmine Borrino). A vivacizzare la situazione, a tratti grottescamente malinconica, intervengono Bagonghi (un bravo Tonino Taiuti) e la compagna Bettina, la donna-vipera dalla lingua biforcuta che semina zizzania tra le rispettive coppie, semplicemente suggerendo, vuoi con una lettera, vuoi con delle insinuazioni, la verità. Nella visione di Arias questa figura è resa da un travestì, vivace, ironico e dispettoso nella buona prova di recitazione di Gennaro Di Biase.

Foto Salvatore Pastore

Foto Salvatore Pastore

L’impianto registico restituisce grande rilevanza alla musica (sempre di Viviani, negli arrangiamenti di Pasquale Catalano) eseguita live dai musicisti a vista nel boccascena. La sua presenza ha il compito sia di accompagnare gli attori nello svolgimento della trama, sia di creare, talvolta, brevi performance che rievocano il teatro d’avanspettacolo e di rivista. Questo entrare ed uscire dalla quarta parete è ricercato spesso dal regista franco-argentino, attento a cogliere il senso e la volontà del testo, il verbo vivianeo, feroce e dolce come Napoli, entità menzognera e verace al tempo stesso. La metafora del doppio tra la finzione e la realtà e l’insito contrasto del teatro che dissimula la vita, parlando di essa, è espressa prepotentemente nell’emblematica frase di Don Ciccio: “Abbiamo un teatro dentro e un altro fuori”.  L’intenzione della regia è d’immediata percezione quando la tela dipinta-sipario ideale viene calata di nuovo, stavolta nascondendo il circo, i suoi umori, i suoi odori e i suoi personaggi.

Massimiliano Gallo e Monica Nappo, ottimi compagni di scena e di sventura sono capaci di colorare i due clown tristi e sconfitti, di un sensibile e commuovente bagliore di umanità che li trasforma da maschere parossistiche a soggetti vivi e autentici. Sul proscenio, davanti a quella piazza del Carmine deserta, dove s’incontrano nel tempo dei loro ricordi che si affastellano nella mente, come sul palco,  i due capiscono che l’unione e la reciproca solidarietà, amore puro, non contaminato dal seme della passione, è l’unico strumento che può farli resistere, dopo tanto patire.
Ora, libere, quelle due belle anime “inzerrate in petto” che nessuno può vedere, immagini di due vagabondi di chapliniana memoria, possono tornare al di là del pannello-città, nella dimensione del circo, il luogo del sogno e della speranza.

Antonella D’Arco

Teatro San Ferdinando
Piazza Eduardo De Filippo, 20 – 80133 Napoli
Biglietteria: 0815513396; biglietteria@teatrostabilenapoli.it
Orario-spettacoli: 24/02 e 27/02 ore 21.00; 25/02 e 26 /02 ore 17.00; 28/02 ore 19.00

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