La parola Padre
Un viaggio alla ricerca di radici e sentimenti comuni in un’Europa che ha il volto di sei donne, tutte con un conto da saldare con i propri padri e con la propria patria. Gabriele Vacis emoziona e stupisce al Teatro Nuovo dove è in scena dal 25 febbraio al 1 marzo.
La parola “padre” si pronuncia “tato” in macedone, “tatko” in bulgaro, “tata” in polacco (ed anche in dialetto pugliese, come si scoprirà). Modi differenti, insomma, ma accomunati da una radice comune evidente. Così come simili, pur nell’apparente diversità, sono le storie narrate dalle protagoniste dello spettacolo di Gabriele Vacis, prodotto da Cantieri Teatrali Koreja, in scena dal 25 febbraio al 1 marzo al Teatro Nuovo di Napoli.
Le donne in scena provengono da luoghi lontani (alle tre italiane, infatti, si accompagnano una macedone, una polacca ed una bulgara), tutte, però, pongono al centro del proprio racconto il ruolo ricoperto dal padre nella formazione della personalità, come spartiacque tra l’ambiente “protetto” della famiglia e quello “aperto” e potenzialmente pericoloso del mondo esterno.
Vacis, dopo gli anni dei lavori con Baricco e Paolini, ha proseguito la sperimentazione in prima persona, “formando” questo spettacolo a partire dall’esperienza delle stesse attrici sul palco; con lunghe sedute, registrate e poi rielaborate, ha scavato in ognuna di esse portandone a galla paure e tensioni sopite. Non è dunque un caso se La parola Padre trasuda realismo pur mantenendo una fondamentale dimensione onirica fatta di danze, simboli, immagini, idiomi che si sovrappongono fino a fondersi; cambiano gli abiti indossati nel corso dell’opera ma non cambiano le protagoniste, tutte così plausibilmente simili al loro alter-ego reale, tutte così profondamente vicine nel loro destino comune di donne di quest’oggi incerto.
L’allestimento di Roberto Tarasco è semplice: una miriade di enormi fiaschi di plastica sovrapposti, con cui Ola, Simona e le altre “combatteranno” nel corso della piéce, tentando di modificarne la disposizione, di usarli per spiccare il volo o, ancora, di abbatterli, seguendo il ritmo delle confessioni e dei diversi stati d’animo. Man mano che le sei proseguono nella conoscenza, si rendono conto di ciò che le unisce e ciò che le divide: lo scenario politico in cui ciascuna di esse è cresciuta resta sullo sfondo, mentre le esperienze finiscono per essere filtrate dalla lente dell’età che conferisce loro la consapevolezza di come, ancor più che i viaggi intrapresi per raggiungere luoghi (fisici) lontani, ciò che le ha segnate sia stato il proprio, silenzioso, viaggio interiore; un “divenire” in cui i padri hanno funzione vitale, accompagnando per mano la bambina nell’atto di compiere la metamorfosi in giovane donna.
Con loro, sembra anche a noi di crescere; nelle loro storie ci sono piccoli frammenti di un’esistenza comune in cui formule e lingue restano diverse, ma uguali sono le difficoltà ed i sentimenti; ed è chiaro che sul palcoscenico non ci sono solo le sei ragazze di Vacis ma ci siamo noi, col nostro carico di disgrazie e fortune da condividere, e con la consapevolezza solo nella condivisione sarà possibile trovare un conforto simile a quello dell’abbraccio paterno.
Se qualcuno dei nostri affezionati e pazienti lettori avesse la necessità di “svezzare” un giovane parente o amico alla magia del teatro, sappia che può cogliere una formidabile occasione proprio con questo spettacolo. Avrebbe modo di apprezzarne la drammaturgia profonda e spiazzante, impreziosita dalle interpretazioni toccanti di Irina, Alessandra, Aleksandra, Anna Chiara, Maria Rosaria e Simona; in un intreccio che non annoia e mai risulta banale ma prova a sorprendere lo spettatore fin dal momento in cui si entra in sala e, al posto del sipario, si trovano le sei intente a scrutare ogni nuovo arrivato, nel tentativo di abbattere, fin da subito, la quarta parete che le separa dal pubblico.
“Quanto tempo mi rimane da vivere? E quale tempo?” si domanda Rosaria, al termine dello spettacolo. Finiamo per chiedercelo anche noi, ma non ce n’eravamo accorti fino a quel momento; segno di un’unica, intensa riflessione collettiva, scatenata con sapienza da una grande mente d’arte e di teatro.
Antonio Indolfi
Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16
Info e prenotazioni: 08 149 76 267 – botteghino@teatronuovonapoli.it
Orari: ore 21.00 (feriali), ore 18.30 (domenica)