Troiane: istruzioni per l’uso
A Galleria Toledo, la tragedia di Euripide si trasforma in un laboratorio scientifico. Usando il metodo dell’etologo francese Henri Laborit, il regista Roberto Tarasco delinea quattro tipi comportamentali, spunto per una riflessione completa sul teatro e sulla società.
“Siamo alla fine della fine”. Il suono di respiri affannosi fa venire alla mente i corpi morenti dei Frigi sulla spiaggia e le rovine di una città in fumo. È Troia. In questo scenario apocalittico trova posto una foresta di coltelli affilati. Tra le aste dei microfoni su cui sono montate le lame, come a disegnare una gabbia minacciosa, si muove l’attrice Sara Bertelà, unica protagonista, unica voce delle Troiane, in scena a Napoli, a Galleria Toledo dal 24 al 29 marzo.
La guerra è conclusa. Il tempo e lo spazio della vicenda sono raccontati nel prologo di respiro epico che si contrappone all’opera di Euripide, ferma, immobile, dichiaratamente senza azione.
Sembra che il più sensibile dei tragediografi greci abbia voluto effettuare un esperimento. Ma quale esperimento è questa tragedia? Ce lo spiegaHenri Laborit, il quale ha osservato che, in base a stimoli esterni indotti, l’animale può reagire in maniera differente. E a tal proposito elaborò degli idealtipi comportamentali che si distinguono in base alle reazioni. In Troiane Ecuba, Cassandra, Andromaca ed Elena rappresentano quattro simboli, quattro immagini di un’umanità multiforme.
Ad evocare le figure, tutte diverse tra loro, è la Bertelà, intensa e indifesa, sofferente ed ironica, al contempo. È tutta qui la polifonia a più voci che la bravura dell’attrice risolve nel far confluire più donne in un unico corpo, il suo.
Ecuba si mostra sempre fiera nel suo pianto. È l’emblema di una madre-terra che accoglie in grembo tutte le macerie del suo popolo. Esprime la forza che si manifesta nell’accettazione dignitosa di ciò che accade, resistendo agli eventi e rendendosi simulacro della persistenza della memoria.
Cassandra, sua figlia, che presagisce le sventure dei nemici, danza ossessivamente, invasata e posseduta dal divino. È la più vicina alla sacralità di tanto teatro orientale, studiato da Antonin Artaud, specchio di un’antropologia comune e collettiva su cui si fonda la lotta sempiterna dell’uomo col destino.
Ad Andromaca, invece, è toccata la sorte più nefasta. Vedova di Ettore, deve sposare l’acheo Neottolemo, il figlio di Achille che è l’assassino del suo sposo. E per giunta le strappano dalle braccia il piccolo Astianatte per gettarlo dalle mura della città. La barbarie subita dalla fedele e virtuosa troiana non ha pari in crudeltà. Lei affranta, senza alcuna speranza ormai, inibisce il suo orgoglio sulla tomba del figlio, “ucciso per paura”, da un popolo spietato, timoroso del futuro.
In un agone giudiziario, la cui modalità è spesso sottesa nelle tragedie antiche, è presentata Elena. Seduttrice civettuola e superficiale, anche lei interpella la divinità, ma non come conforto, bensì come una malcelata giustificazione alla sua colpa. In un’invettiva mossa a lei da Ecuba, l’interpretazione della Bertelà ci restituisce un’ironia, appena lambita, del personaggio che avvicina e contestualizza la scrittura nell’era contemporanea. Già, perché un testo tragico è solitamente percepito come un qualcosa di molto lontano e avulso da noi. In realtà, qui, il tempo è quello del dolore, quindi è sospeso, in bilico sulle musiche edite, rielaborate da Roberto Tarasco, che prima di esser regista è scenofono (come ama definirsi nella doppia intervista fatta a lui insieme a Sara Bertelà: leggi qui). Lui usa strumenti e note, non semplicemente per accompagnare o assecondare l’interprete, ma per creare visivamente luoghi e ambienti che vivono sia sul palco sia in platea.
Il flusso dello spettacolo è frammentario e s’interrompe qua e là con inserti e didascalie che assumono la forma di vere e proprie lezioni dal chiaro intento pedagogico e civile, restando in tema d’altronde con l’antico spirito del teatro. Non è un caso che il titolo Troiane sia seguito da Istruzioni per l’uso. Ed essendo il mito, calato nel tempo e nello spazio dell’assoluto, anche la guida che esso impartisce ha carattere universale, totalizzante e sempre attuale.
Ecco che la citazione della Divina Commedia, prefigurazione della discesa agli inferi di ognuno di noi, e dell’aria del Va Pensiero, utilizzata dagli Italiani per festeggiare la vittoria contro gli Austriaci, durante la prima Guerra Mondiale, ci ricorda che un classico, per esser tale, deve riuscire a parlare con la sua arte, ancora all’uomo di oggi, allusivamente semmai, così come d’altro canto già Euripide aveva operato, con Troiane, nel 415 a .C. a ridosso della strage di Melo, per far sentir forte il suo coro favorevole ad una politica pacifista. A distanza di circa duemila e cinquecento anni, la deportazione delle Troiane, la violenza, le coercizioni, la libertà negata, la sofferenza sopra ogni cosa, è nello sguardo dei profughi presso i CIE (Centro d’identificazione ed espulsione). Uguali sono le lacrime, uguali gli occhi che vedono allontanarsi la propria terra, separata dallo stesso mare.
Antonella D’Arco
Galleria Toledo
Via Concezione a Montecalvario, 34 – 80134 Napoli
Info e prenotazioni:081 425037 – galleria.toledo@iol.it
Orario-spettacoli: da martedì a sabato ore 20.30 | domenica ore 18.00