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A Galleria Toledo un “monologo in danza” sugli scritti del mistico Meister Eckhart, ideato e coreografato da Marco Chenevier, prova a smentire (confermandoli) tutti i nostri pregiudizi pre-confezionati.

Fonte foto Ufficio stampa

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La danza, un mistico del ‘300, il teatro e la censura. Arduo trovare una connessione tra questi ingredienti che non sia confusa e sconclusionata. Per fortuna l’apparenza è soggetta al beneficio del dubbio, un beneficio che va riconosciuto ad una operazione ambiziosa, ma al contempo umile, portata a Galleria Toledo da Marco Chenevier con lo spettacolo La scelta – Beati pauperes in spiritu – Eckhart Project, promosso dal TIDA – Théâtre Danse, ovvero Teatro Instabile di Aosta, e andato in scena l’11 e 12 aprile. Si suppone che una recensione non debba necessitare di una premessa sinottica, ma una drammaturgia che tenta di esporre il pensiero di un teologo tedesco del XIV secolo, Meister Eckhart, il quale predicava la ricerca dell’interiorità per mezzo della dissoluzione di se stessi, dell’egoità, della memoria, della volontà, di una sintesi ha un disperato bisogno. Questo perché la sinossi e l’idea drammaturgica sono lo spettacolo stesso, l’impianto che viene smantellato dall’autore sulla scena per mezzo di un chirurgico processo di autocensura. Come è giusto dire cosa si vuole dire? Come si può evitare il fallimento pressoché certo di uno spettacolo teatrale con un titolo che farebbe scappare chiunque, incentrato sulla traduzione in danza di parole pronunciate da un eretico più di otto secoli fa?
Ecco perché questa messinscena è umile e al contempo illuminante, perché è consapevole di tutti questi ostacoli e li contesta senza superbia e con cognizione di causa dopo averli affrontati, analizzati insieme al pubblico. Marco Chenevier rompe gli schemi abituali infrangendo costantemente la quarta parete e riportando, sulla scena, tutto il processo creativo che lo ha convinto a partorire un aborto. Trattasi infatti di un monologo che si completa palesando la sua incompletezza, dimostrando come al giorno d’oggi, per motivazioni apparentemente diverse, ma sostanzialmente identiche, sia impossibile esprimere delle idee senza che queste vengano sottoposte al controllo, invisibile, delle leggi del mercato (come si fa a far funzionare qualcosa? Come si vende?).
Nel XIV secolo talune idee, ad esempio quelle di Eckhart che venne condannato come eretico, non potevano essere espresse, la censura era applicata in modo sistematico, alla luce del sole; nella contemporaneità sembra (rimaniamo nell’ambito di ciò che appare) non essere cambiato nulla, l’impossibilità persiste perché delle dinamiche psicologiche surrettizie, le leggi del mercato di cui sopra, ci privano sistematicamente dell’autonomia e della capacità critica facendo credere a tutti noi di averlo un pensiero, che in realtà è solo quello della maggioranza, o di una specifica moltitudine. Ed ecco che il riferimento ad Eckhart e al percorso interiore, al privarsi della memoria e della volontà così da conquistarsi la propria autonomia, autonomia che è anche libertà, non è più casuale, bensì parte essenziale di quanto accade in scena.
Nel finale Chenevier, prima di lasciarsi in un’ultima danza volutamente contratta, costipata, si prodiga in un monologo che non inizia mai realmente. Interrotto in maniera schizofrenica da continue valutazioni sulla forma che il monologo stesso dovrebbe assumere, sulla modalità più adatta per declamarlo, mettendo in secondo piano il senso delle parole che lo stesso contiene, nel suo dipanarsi di suoni e spasmi ci precede nel ruolo che sovente interpretiamo noi, impegnati a guardare troppo spesso all’involucro e non al contenuto.

                                                                                    Andrea Parré

 

Galleria Toledo
Via Concezione a Montecalvario, 34 – Napoli
Info e prenotazioni:081 425037 – galleria.toledo@iol.it

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