Il magico potere della parola
A Il Pozzo e il Pendolo di Napoli il giallo d’autore di sir Conan Doyle si trasforma in occasione per guardare/andare a teatro “ad occhi chiusi” al fine di ritrovare il sorriso, lo stupore e la leggerezza semplicemente “ascoltando”.
Il teatro è una perfetta combinazione di parole, suoni e immagini, ma ognuna di queste forme espressive è in realtà capace di auto sostenersi e dar vita a spettacoli affascinanti e coinvolgenti, seppur completamente diversi nel loro modo di raggiungere lo spettatore.
Lo spettacolo Il segno dei quattro, tratto dal libro di sir Arthur Conan Doyle, con Paolo Cresta, Antonello Cossia, Rosalba Di Girolamo, Antonio Perna per la regia di Annamaria Russo, andato in scena al Teatro Il Pozzo e il Pendolo l’11 e 12 aprile, è uno di quei lavori dove è la voce la protagonista principale, trattandosi di una messinscena da “vedere” ad occhi chiusi, con solo gli occhi della mente, così come consigliato dagli stessi ideatori (che non a caso forniscono all’ingresso piccole mascherine nere da indossare). Ed è per questo motivo che la scena dove l’azione si svolge è posta in secondo piano, quasi come dietro le quinte, perché non è il corpo ad essere protagonista, non è la mimica o le movenze dell’attore a dover catturare l’attenzione, bensì la sua voce suadente, la sua abilità a ricreare qualunque tipo di suoni la storia richieda, riproducendo con solo effetti audio tutte le scene minuziosamente descritte nel testo.
Finalità della rappresentazione, «in controtendenza rispetto a quello che è l’andamento attuale, ovvero questa sbornia, overdose della vista», come afferma Antonello Cossia, «è quello di andare a stuzzicare, rivitalizzare, vivificare gli altri sensi dello spettatore che di solito a teatro vivono un po’ in seconda battuta rispetto a quella che è la visione dello spettacolo. Lo spazio si presta ovviamente in modo abbastanza totalizzante all’idea e in particolare Il segno dei quattro segue un esperimento già messo in campo da Annamaria Russo l’anno scorso con il racconto fonico delle opere di Conan Doyle. Abbiamo iniziato con Uno studio in rosso (in cui c’erano Nico Ciliberti, Paolo Cresta e il sottoscritto), che è il primo romanzo dello scrittore scozzese, per proseguire poi con Il segno dei quattro che è il secondo passaggio di questo lavoro, sempre seguendo le suggestioni della nostra regista che giorno per giorno vive e lavora scavando il solco di quella che è la linea distintiva de Il Pozzo e Pendolo, in nome di una coerenza che contraddistingua lo spazio e la sua relativa produzione.»
Chiudendo gli occhi ed estraniandosi da tutto, ha così inizio il viaggio nello spazio e nel tempo guidati dalla magia della narrazione, e solo una volta aperti ecco svelata, come ritrovandosi dinanzi ad un illusionista che svela i suoi trucchi, la magia della creazione frutto della sintonia e del perfetto lavoro di squadra (in cui fondamentale è il ruolo di Michela Ascione, alla consolle, a cui spetta la responsabilità di ben calibrare le musiche di Luca Toller e il volume), nonchè della bravura indiscussa di ogni singolo attore. La complicità è, del resto, fondamentale in un lavoro del genere, «è probabilmente l’ingrediente che rende lo spettacolo così godibile, se mancasse sarebbe difficile rendere soltanto in voce le emozioni», ci conferma la stessa Rosalba Di Girolamo alla sua prima esperienza con una messinscena del genere, «perché quando si fa uno spettacolo in cui si viene visti, si dimentica di avere un collega avanti, piuttosto hai un personaggio così come tu stessa sei un personaggio. Invece qui si crea una condizione molto particolare per cui si determina una complicità su due livelli: da una parte la complicità con il personaggio quando sei in battuta, dall’altra parte la complicità con l’amico, con il compagno, con l’attore sia perché, ovviamente, ognuno cerca di facilitare il lavoro all’altro nel riprodurre i rumori, ad esempio, sia anche perché effettivamente si creano delle situazioni carine anche nel rapporto visivo con il pubblico.»
Un lavoro del genere, aggiunge Antonio Perna, «è un tipo di esperimento che ti permette di giocare con la voce a differenza di altri spettacoli dove è il corpo ad essere protagonista, al contempo, però, ti permette anche di interpretare diversi personaggi senza ricorrere a posticci ma usando molto la fantasia», costringendo a «parcellizzare il suono – continua la Di Girolamo – in maniera dialettica rispetto al suono dell’altro, così creando una vera e propria partitura musicale.»
Un invito a lasciarsi andare all’immaginazione, dunque, quello suggeritoci da Il segno dei quattro attraverso il quale è un lavoro sull’ascolto quello che si vuole portare a termine, un esperimento contro il voyerismo affinché venga solleticata l’interiorità di ciascun spettatore e la sua reale capacità ad abbandonarsi al gioco del teatro e così godersi, come dice Perna, «quello che sta per succedere, senza pre-filtri», senza «aspettarsi risposte ma cogliendo le domande» gli fa eco la Di Girolamo, in nome di quello stupore che Cossia individua come fondamentale «senza cadere nell’equivoco di un teatro superficialmente semplice che intrattenga e basta, ma andando a cercare quella leggerezza di cui parla anche Calvino» per una comunicazione reale, trasparente, onesta e credibile tra chi fa teatro e chi lo va a seguire, ascoltare, guardare, portando ogni volta a casa qualcosa di più e di nuovo che si è imparato e ha emozionato.
Irene Bonadies
Il Pozzo e il Pendolo
piazza San Domenico Maggiore, 3 – Napoli
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