Il senso più profondo di Ruccello
Al Piccolo Bellini di Napoli Rino Di Martino, diretto da Antonella Morea, porta in scena “Mamma – piccole tragedie minimali”, frutto di una indagine antropologica e linguistica attraverso cui l’autore stabiese racconta spaccati di umanità in cui non è difficile riconoscersi, pur a distanza di tempo.
Non ci si stancherà mai di dirlo che, di autori teatrali come lo è stato Annibale Ruccello, c’è un disperato bisogno tutt’oggi. E non per la gratuità di un’affermazione dal carattere nostalgico che strappi un facile consenso, oppure perché non vi siano in giro drammaturghi di pari levatura. La dimostrazione del carattere di unicità di Ruccello, oltre alla fama che precede il suo nome, può essere ad esempio spiegata con la riproposizione di quello che fu il suo ultimo spettacolo andato in scena, dal titolo Mamma – piccole tragedie minimali, portato al Piccolo Bellini da Rino Di Martino, diretto da Antonella Morea, dal 16 al 19 aprile. È solo dei grandi del teatro e della letteratura l’essere in grado di immortalare il presente in modo impeccabile e implacabile, costringendo lo spettatore a percepire la sensazione di guardarsi allo specchio mentre assiste alla messa in scena, o vedere, in ogni caso, un po’ della propria quotidianità in ciò che accade sul palco.
Nell’opera, rieditata dalla coppia Di Martino-Morea, il protagonista veste i panni di quattro madri pescate da diversi periodi storici ma da un comune contesto sociale, quello popolare delle classi meno colte. La messa a fuoco ha i tratti tipicamente ruccelliani come la ricerca antropologica attenta e profonda, connessa allo studio linguistico sulle rivoluzioni lessicali che il tempo porta con sé e gli effetti che la comunicazione e la globalizzazione hanno avuto, progressivamente, sulla società. Si tratta di storie ricavate dalla tradizione popolare che corrono lungo il corso della storia, dai secoli scorsi fino a giungere all’esempio apicale che rinveniamo nell’ultima di queste mamme, simulacro della schiavizzazione televisiva e di costume degli anni ’80, esemplificata dai nomi scelti per i bambini della famiglia: un assurdo trionfo di Deborah, Samanta, Morgan e altri calchi dei nomi dei personaggi delle soap sudamericane. Nella sua azione il tempo cambia le tonalità, gli abiti, le sfumature e i modi di dire, lasciando tuttavia l’impressione che alcuni tratti spigolosi, vezzi ed abitudini, si rivelino dei caratteri ricorrenti che della storia e del tempo svelano la ciclicità.
Purtroppo costretto, dalle vicissitudini, a fermarsi al racconto del passato recente, lo spettacolo per come concepito ben fa credere nel fatto che sarebbe stata lunga la sua vita, con continue ed eventuali rivisitazioni ammodernate, senza la morte prematura di Ruccello. Pur essendo l’ultima interpretata nel 1986, infatti, questa forse non sarà, nella sua interezza, la migliore delle opere dell’autore, ma vista la sua apertura naturale a variazioni e a modifiche, è dotata di una rara autenticità, oltre che affinità alla poetica più profonda dell’autore, perché predisposta ad un’evoluzione in grado di adeguarsi di pari passo ai cambiamenti del mondo.
Sul palco Rino Di Martino rispetta alla perfezione i propositi della scrittura, immergendosi pienamente nell’interpretazione che la regia ben sottolinea e mette in luce, facendo propri gli esiti di uno studio approfondito sul linguaggio, all’occorrenza anche scurrile, che il tempo manipola. E non è un caso che dopo gli applausi finali il protagonista abbia la premura di chiedere al pubblico se vi siano incomprensioni sul piano verbale, per chiarirle eventualmente.
Difficile credere che in questi spaccati moderni uno spettatore non abbia visto e non vedrà almeno un accenno di una nonna, una zia, una mamma, percependo una rara sensazione di dejavu.
Andrea Parrè
Piccolo Bellini
via Conte di Ruvo 14, Napoli
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