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Sei compagnie, due debutti nazionali, due debutti romani, un evento speciale e il convegno “Registi on the road”: al teatro trasteverino la rassegna teatrale che dà voce alle realtà giovani e indipendenti.

1385970_581855671851717_74821977_nDal 20 aprile fino al 7 maggio, 20 giorni di programmazione porteranno in scena le proposte e gli sguardi di alcune tra le più significative compagnie indipendenti degli ultimi cinque anni. Al debutto cittadino di Gioco di specchi (qui la recensione), abbiamo incontrato i direttori artistici del teatro, Tiziano Panici e Francesco Frangipane, che ci hanno accompagnato all’interno di questo “spazio preservato” dedicato alla teatralità contemporanea ed esordiente.
Che cos’è “Primavera Argot” e come nasce questo progetto artistico?
T. P.: È una rassegna che abbiamo sviluppato come una riserva indiana sulla stagione di quest’anno, affidandoci completamente alle nostre forze e a quelle delle compagnie.
Sappiamo che non ci sarà il pubblico che abbiamo avuto durante la stagione, rispetto anche ai grossi progetti e alle lunghe teniture su cui abbiamo investito, perché sono progetti non romani e non fanno parte della dinamica di Dominio Pubblico (NdR. stagione teatrale congiunta con il Teatro dell’Orologio dedicata alla nuova drammaturgia e alla scena innovativa). Tuttavia, per noi è uno sforzo importante perché è una bella programmazione: quello di Ciro Masella e di Marco Brinzi è uno spettacolo bellissimo che Massini ha scritto apposta per loro; Mirko Feliziani aveva presentato il suo lavoro (NdR. Milk) in “Dominio Pubblico OFFicine”, e ora lo propone “in appartamento”, un particolare formato che lo rende già molto curioso; gli Occhisulmondo sono una compagnia ancora sconosciuta a Roma: debuttano in vetrina nazionale all’”Armonia festival” e stanno portando avanti un lavoro molto interessante, sia a livello drammaturgico che di messa in scena.

Una “riserva indiana” con un panorama molto vasto dove trovano posto ritorni al passato tragico di Antigone, immersioni nel mondo delle Drag Queen, fino a riflessioni su nuove drammaticità, come la recente strage norvegese oggetto di #2 Milk/Utøya…
T.P.: Assolutamente. E la scelta fondamentale sta nell’aver puntato sulle compagnie: quello che deve essere rilevante rispetto al quorum della rassegna è il fatto che abbiamo voluto dare risalto in primo luogo agli artisti che partecipano e a quelli che sono i loro percorsi.

F. F.: Non c’è una prospettiva tematica nella scelta, come accade solitamente. Piuttosto, abbiamo cercato di individuare dei gruppi teatrali ai quali affidare uno spazio ben preciso all’interno della nostra stagione. Quindi si è puntato sulla principale ricerca delle compagnie, al di là dei progetti: poi, lavorando con loro, si è costruita una cornice artistica intorno. Una cornice che, però, si è creata da sola, partendo da chi proponeva le idee.

Cosa vi ha spinto a partire dalle compagnie e non dalla tematiche proposte?
T.P.: È una scelta nata nel momento in cui abbiamo costruito una stagione con un’identità molto specifica che stiamo cercando di rendere sempre più chiara, per offrire anche al pubblico che viene da fuori un nitido panorama su ciò che accade all’Argot.
La programmazione con spettacoli di lunga tenitura è una scommessa molto importante perché occupano porzioni di stagione notevole (con repliche che sono arrivate alle quattro settimane, come nel caso dei lavori di Francesco Frangipane e Filippo Gili, o di Enrico IV di Matteo Tarasco che ha aperto la stagione). Produzioni che sanno di dover scommettere su ampi periodi, lavorando su un pubblico diversificato e, anche se affezionato, sempre in evoluzione.
Era importante per noi creare uno spazio per artisti con i quali abbiamo collaborato e nei quali abbiamo creduto ma che non potevano rientrare né nella stagione “lunga”, né nella vetrina sul contemporaneo di Dominio Pubblico. “Primavera”, dunque, nasce come un formato apposito: un caso esemplare è quello di Macelleria ETTORE che ha attraversato tutti gli Argot Off, la nostra rassegna di fine stagione che, oltre ai trenta progetti che riempivano la programmazione stagionale, ha dato spazio a ulteriori dieci compagnie che, altrimenti, non avremmo potuto conoscere. Come le vedevamo? Come le testavamo sul campo per capire le reazioni del pubblico? È sicuramente un investimento per noi e per le compagnie. Un investimento non facile, non solo perché si tratta di realtà indipendenti e poco conosciute, ma soprattutto perché molto spesso non romane e, paradossalmente, nessuno a Roma è a conoscenza di quel che accade nella regione. I Matutateatro (che portano in scena Antigone), ad esempio, sono un gruppo di Sezze, così come Alessandra Felli, alla regia di Moel, dirige quattro bravi attori che provengono da quattro parti diverse d’Italia, e lavorano su un testo di Marco Andreoli che è un drammaturgo importante per Roma ma ancora poco prodotto e poco frequentato.

registiA inaugurare la “Primavera Argot”, l’appuntamento itinerante di “Registi on the road”. Quali sono state le tematiche affrontate e perché la scelta di aprire la rassegna con un convegno?
T.P.:  Sul convegno abbiamo lavorato molto, anche se per me è stata un po’ un’ossessione di questo periodo in quanto ho attraversato diversi tavoli politici tenutisi in questa città che hanno avuto, a mio avviso, degli esiti abbastanza penosi, a prescindere da quanto forte sia stata l’azione.
Questo significa che c’è una politica che, evidentemente, ad oggi non è in grado di raccogliere nessun messaggio. “Registi on the road” è un format che nasce a Milano da due registi, Alberto Oliva e Carolina De La Calle Casanova, e precisamente da un incidente diplomatico legato al fatto che Carolina doveva partecipare alla rassegna con la sua compagnia Babygang: non è tra le compagnie in rassegna perché per lei era un costo difficile da affrontare, così mi ha mostrato questo progetto che nasce dal basso, da artisti che si sono messi a confronto sulle proprie condizioni di lavoro sempre più insostenibili. Si spostano per l’Italia cercando risposte: la prima tappa è stata Napoli, poi Trento, poi Inzago, e ora Roma, in apertura della nostra rassegna.
Per questa quarta tappa il titolo che gli abbiamo dato è “t’aregge” che – più romanesco e sensato di così! – oggi è una parola di sfida, significa “ce la fai?”: in periferia vuol dire che devi avere la forza per portare avanti un certo tipo di lavoro. E la domanda include anche un perché devi reggere, il che implica un basso profilo istituzionale, che è poi il nostro obiettivo in quanto abbiamo invitato il Comune di Roma Capitale e la Regione Lazio a essere presenti come uditori, e non come relatori, perché ascoltassero le voci del territorio e, in questo, abbiamo individuato delle realtà che secondo noi ora sono molto prolifiche. A parte Dominio Pubblico che ci rappresentava, abbiamo coinvolto Carrozzerie_n.o.t, Teatro Studio Uno, il Rialto, in qualità di esperienza che si è chiusa forzatamente, il Fringe Festival, realtà che sta esplodendo indipendentemente dai contributi pubblici. E abbiamo chiamato a partecipare una sola figura politica, Andrea Valeri, assessore alla cultura del I Municipio – Roma Centro Storico, nonché unico ad avere un progetto, ovvero quello di creare un distretto culturale che metta in relazione e in collaborazione tutte le realtà del territorio senza contributi esterni.

F.F.: La paura iniziale e condivisa era che il convegno potesse diventare ricettacolo di lamentele, frustrazioni e insoddisfazioni, ma devo dire che l’efficacia dell’appuntamento è stata nel tentativo di costruire tutto sulla proposta, su cosa possiamo fare insieme per continuare a “reggere”: gli spunti ci sono stati e la consapevolezza comune che ne è derivata è che c’è bisogno degli altri. Dominio Pubblico è un piccolo esempio di come due teatri che hanno sempre vissuto indipendentemente hanno costruito un ponte tra loro, e oggi, soprattutto oggi, c’è bisogno di fare ponte, ognuno con la propria esperienza e matrice, però facendo degli sforzi insieme.

Voi siete anche artisti (registi e attori) indipendenti: come “reggete” queste difficoltà causate anche da una certa condizione di “sordità” politica?
T.P.:  Io da artista riconosco alla politica un aspetto fondamentale: non è un bancomat dove prelevare soldi. La politica in questo momento è in estrema difficoltà e questo è importante da riconoscere. Ci sono dei muri costruiti volontariamente per tenere chiusa un’interlocuzione che è scomoda già tra organi interni alla politica stessa. È un pantano da cui è complicato uscire in questo periodo per due motivi: da un lato le risorse che esistono vengono destinate a un vecchio sistema in parte clientelare, soprattutto in una città complessa e stratificata come questa. Dall’altro, dobbiamo appurare il fatto che non esistono politici formati a creare progetti e investimenti interessanti e, se ce ne sono, come ne caso di Valeri, non sono ascoltati. Dunque, che fare? Includere un grande marchio come il Fringe Festival che, per quanto off, è riconosciuto a livello internazionale, ed è una piattaforma che dà spazio a moltissimi artisti sviluppando un vastissimo pubblico. Numeri che possono essere importanti su una realtà come quella romana e che non possono essere ignorati; progetti che possono essere portati all’interno degli spazi teatrali locali in periodi stagionali non concorrenziali. I teatri potrebbero rappresentare tante realtà sotto un’unica etichetta, e questo non può essere ignorato. Azioni congiunte come quelle di un solo assessore di un unico Municipio che si attiva per sgravare le spese dei festival e della SIAE per gli spazi piccoli, sono passi significativi che non dovrebbero essere sottovalutati.

F.F: Ci rendiamo conto tutti i giorni, rispetto a questa crisi e alla mancanza di risorse, che gli unici che in realtà stanno crescendo sono quelli che sono sempre stati abituati a non avere le risorse. Gli spazi off come il nostro oggi, con tutte le difficoltà, vivono una fase di rilancio perché, non avendo mai avuto il sostentamento istituzionale, il fatto che ora quei soldi manchino non cambia il nostro approccio al lavoro, all’investimento artistico che vogliamo fare nel nostro spazio.
Ciò su cui è importante riflettere è l’assenza di una politica culturale da parte delle istituzioni. Non si tratta solo della mancanza di fondi, ma soprattutto di una prospettiva rispetto a chi in questa città fa davvero politica culturale. Prospettiva che cambia continuamente, come è normale che sia: ma questa instancabile evoluzione non è progettuale ma si rapporta naturalmente alla realtà esterna e, di conseguenza, si riflette all’interno del nostro spazio e della nostra percezione. È un continuo cammino, un continuo movimento e, a noi, per il momento, c’aregge!

Nicole Jallin

Teatro Argot Studio
via Natale del Grande, 27, Roma
contatti: 06 589 8111 – www.teatroargotstudio.com

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